domenica 30 aprile 2017

L'invasione


La vicenda del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro è ormai diventata un caso esemplare. Egli ha detto, papale papale, che le ONG, che ci riempiono di clandestini, rispondono ad un disegno preordinato tendente all’invasione dell’Italia ed al dissesto della nostra economia. Apriti cielo! In Italia si era finalmente trovato un giudice disposto a dire la verità in merito, anche a costo di qualche sacrificio personale e di qualche contrasto con la marea montante dell’idiozia  e della mistificazione, e ne è venuta fuori una caciara indescrivibile. Come si è permesso questo giudice di dire la verità? Ma questo giudice lo sa o non lo sa che in Italia è vietato dire quello che si pensa e che l’unica idea consentita è quella che si adegua al PUD, il Pensiero Unico Dominante? Che venga punito, deferito al CSM, o almeno zittito, trasferito, messo nella condizione di non nuocere! Un insulto vergognoso, tipico di chi è abituato ad abbaiare in coro e che si fa forte del coro del conformismo e dell’idiozia. C’è stata qualche eccezione nella canea, come quella di Di Maio e dei 5Stelle, i quali però debbono avere l’accortezza prima di tutto di mettersi d’accordo con se stessi. Un giorno si gloriano di aver contribuito in maniera determinante all’abolizione del reato di immigrazione clandestina e il giorno dopo si lamentano del fatto che i clandestini sono troppi e che a portarceli in casa sono le ONG. O per caso si sentono ormai prossimi alla conquista del potere e, siccome si avvicinano le elezioni, hanno capito finalmente che la stragrande maggioranza degli Italiani ne hanno le scatole piene degli immigrati clandestini, a dispetto di quello che dicono Bergoglio, la Boldrini e tutti i parassiti che sul traffico dei nuovi schiavi stanno ingrassando?
D’altra parte c’è qualcosa che non quadra in tutta la vicenda e un giorno qualche storico, allorché si troverà a raccontare le vicende dei tempi nostri, dovrà pur dire qualcosa di convincente in merito, quando le passioni saranno sopite ed il naturale fluire del tempo consentirà di avere un quadro più obiettivo di quello che sta succedendo. Perché c’è qualcosa che obiettivamente non appare spiegabile. Mi sembra scontato che la stragrande maggioranza degli Italiani non ne può più di questa storia e che solo una sparuta minoranza, per di più disperatamente sulla difensiva, cerca di favorirne la prosecuzione, fino ad un’allucinata e masochistica volontà di annientamento del popolo italiano, contro il quale si ha l’impressione che essa (questa minoranza) porti avanti una sorta di guerra di sterminio non dichiarata. E’ anche vero che questa minoranza è formata da gente danarosa, che conta, che dispone dei mezzi di comunicazione, che dispone delle leve di comando, ma a tutto c’è un limite, soprattutto quando i limiti della decenza appaiono largamente superati ed attengono ormai ad una sorta di follia collettiva, che impedisce di ragionare.
Non si riesce a capire, o almeno io non riesco onestamente a capire, perché tanta gente apparentemente normale, che parla in TV, che scrive sui giornali, che “mangia e beve e dorme e veste panni”, come diceva Dante. Bene. Non riesco a capire come tutta questa gente possa dire impunemente, anzi anche con una certa altezzosità e sicumera a volte, che i clandestini sono il nostro futuro, che essi ci pagheranno le pensioni e che, siccome ci sono utili, ci tocca adeguarci al loro stile di vita, il tutto mentre il nostro governo stanzia 4,3 miliardi di Euro per mantenerli. “Non so se il riso o la pietà prevale”, diceva il grande G.L. allorché si trovava ad ascoltare i discorsi di chi era convinto del progressivo e sicuro incivilimento del genere umano.
E io non riesco a capire perché all’Italia non debba essere consentito quello che è consentito alla Germania, alla Gran Bretagna, all’Austria, a tante altre civili nazioni del mondo intero: proteggere i confini, programmare gli afflussi e, se proprio non è possibile debellare l’invasione, cercare almeno di controllarla, razionalizzarla, venirne a capo e renderla accettabile, ammesso che ormai, al punto in cui ci siamo ridotti, una cosa del genere sia ancora possibile.
O per caso gli Italiani si sono resi colpevoli di qualche crimine orrendo davanti a Dio e sono per questo obbligati alla pena, all’espiazione e all’estinzione?
Ezio Scaramuzzino

sabato 29 aprile 2017

La Guerra del Peloponneso di Tucidide

Quando, nei miei anni di Liceo, lessi per la prima volta La guerra del Peloponneso di Tucidide, rimasi fortemente colpito. Posso dire che Tucidide ebbe su di me un’influenza non minore di quella che contemporaneamente esercitavano autori come Tacito, Machiavelli, Guicciardini, Pareto. Ho dimenticato molto di quel che ho letto allora, ma c’è un episodio narrato da Tucidide che ancora oggi, a distanza di tanti anni, è stabilmente fisso nella mia mente ed è da me considerato uno dei testi che maggiormente hanno influito sulla mia capacità di capire lo svolgimento della Storia e, più in generale, della vita degli uomini. E l’episodio è quello relativo all’occupazione da parte di Atene della piccola isola di Melo.
Siamo durante la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), che vede le due potenze Atene e Sparta impegnate in una lotta mortale. Nel 421 è stata stabilita una tregua, ma le due città ne approfittano per cercare di consolidare le proprie posizioni. In particolare Atene non sopporta l’atteggiamento della piccola isola di Melo, che, pur alleata di Sparta per una comune origine etnica, decide di non intervenire nel conflitto e mantiene una posizione di stretta ed assoluta neutralità. Questa neutralità non sta bene ad Atene, la quale teme che l’esempio di Melo possa estendersi ad altre isole dell’Egeo, con il rischio che la sua superiorità navale possa rimanerne frustrata e che Sparta possa trarne indiretti vantaggi. Nel 416 gli Ateniesi mandano pertanto un’ambasceria a Melo: gli abitanti dell’isola sono invitati ad accettare la protezione della superpotenza ateniese, diventando alleati e tributari; possono anche rifiutarla, ma in tal caso avranno la guerra totale e saranno sterminati. Così Tucidide racconta l’episodio.
Poi gli Ateniesi mossero anche contro l'isola di Melo. I Meli, che sono coloni spartani, non volevano assoggettarsi al predominio di Atene e se ne stavano tranquilli, senza schierarsi né con gli uni né con gli altri.  I generali ateniesi, prima di mettere a ferro e a fuoco il paese, mandarono un'ambasceria per intavolare trattative. 
Ateniesi:-Vi proponiamo di diventare nostri alleati e tributari, ma non pretendiamo che voi diate una risposta immediata.
Meli:-Questo colloquio porterà a noi la guerra se, forti del nostro diritto, non cederemo; se invece accetteremo, avremo la schiavitù.
Ateniesi:-Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi sonanti. Non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute: discorsi lunghi e che suscitano solo diffidenze. Però nemmeno voi ci potete convincere col dire che non vi siete schierati al nostro fianco perché eravate coloni di Sparta e che, infine, non ci avete fatto torto alcuno. Poiché voi sapete bene che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia solo quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti. In caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli sono costretti ad adattarsi.
Meli:-Orbene, a nostro giudizio almeno, la convenienza stessa richiede che non distruggiate quello che è un bene di cui tutti possono godere. Ma, quando qualcuno si trova nel pericolo, non gli sia negato ciò che gli spetta ed è giusto. 
Ateniesi:-Siamo ora qui per consolidare il nostro impero e avanzeremo proposte atte a salvare la vostra città, poiché noi vogliamo estendere il nostro dominio su di voi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, per l'interesse di entrambe le parti.
Meli:-E come potremmo avere lo stesso interesse, noi a divenire schiavi e voi ad essere padroni?.
Ateniesi:-Poiché voi avrete interesse a fare atto di sottomissione prima di subire  più gravi danni e noi avremo la nostra convenienza a non distruggervi completamente.
Meli:-Sicché non accettereste che noi fossimo in buona pace, amici anziché nemici, conservando intatta la nostra neutralità?.
Ateniesi:-No, perché ci danneggia di più la vostra amicizia, che non l'ostilità aperta. Quella, infatti, agli occhi dei nostri sudditi sarebbe prova manifesta di debolezza, mentre il vostro odio sarebbe testimonianza della nostra potenza.
Meli:-E i vostri sudditi sono così ciechi da porre sullo stesso piano le città che non hanno con voi alcun legame e quelle che, per lo più vostre colonie, e alcune addirittura ribelli, sono state sottomesse?.
Ateniesi:-Essi pensano che agli uni e agli altri non mancano motivi plausibili per difendere la loro causa, ma ritengono che alcuni siano liberi perché sono forti e noi non li attacchiamo perché abbiamo paura. Sicché, senza trascurare che il nostro dominio ne risulterà più vasto, la vostra sottomissione ci procurerà maggior sicurezza; tanto più se non si potrà dire che voi, isolani e meno potenti di altri, avete resistito vittoriosamente ai padroni del mare.
Meli:-E con una politica diversa non pensate di provvedere ugualmente alla vostra sicurezza? Poiché voi, distogliendoci dal fare appello alla giustizia, ci volete indurre a servire alla vostra convenienza, bisogna pure che noi a nostra volta cerchiamo di persuadervi, dimostrando qual è il nostro interesse e se per caso non venga esso a coincidere anche con il vostro. Or dunque, così facendo, tutti quelli che ora sono neutrali ve li renderete nemici, perché, osservando questo vostro modo di agire, si convinceranno che un giorno voi andrete anche contro di loro. E in questo modo, che altro farete voi se non accrescere i nemici che già avete e trascinare al loro fianco, pur contro voglia, coloro che fino ad ora non ne avevano avuto nemmeno l'intenzione?.
Ateniesi:-No, perché non riteniamo pericolosi quei popoli che abitano sul continente e che, per la libertà che godono, esiteranno a mettersi contro di noi. Sono piuttosto gli abitanti delle isole che ci fanno paura, quelli che, come voi, non sono sottomessi ad alcuno e quelli che mal si rassegnano ormai ad una dominazione imposta dalla necessità. Costoro, infatti, molto spesso affidandosi ad inconsulte speranze, possono trascinare se stessi in manifesti pericoli e noi con loro.
Meli:-Ordunque, se voi affrontate cosi gravi rischi per non perdere il vostro predominio e quelli che ormai sono vostri schiavi tanti ne affrontano per liberarsi di voi, non sarebbe una grande viltà e vergogna per noi, che siamo ancora liberi, se non tentassimo ogni via per evitare la schiavitù?. Ma noi sappiamo pure che le vicende della guerra prendono talvolta degli sviluppi imprevisti. Ad ogni modo, per noi cedere subito significa dire addio a ogni speranza; se invece ci difendiamo, possiamo ancora sperare che la nostra resistenza abbia successo.
Ateniesi:- Quelli, che alla speranza affidano tutto ciò che hanno, ne riconoscono la vanità solo quando il disastro è avvenuto; e, scoperto che sia il suo gioco, non resta più alcun mezzo per potersene guardare in futuro. Perciò voi, che non siete forti e avete una sola carta da giocare, non vogliate cadere in questo errore. Non fate anche voi come i più che, mentre potrebbero ancora salvarsi con mezzi umani, abbandonati sotto il peso del male i motivi naturali e concreti di sperare, fondano la loro fiducia su ragioni oscure: predizioni, vaticini e altre cose del genere, che incoraggiano a sperare, ma poi traggono alla rovina.
Meli:-Anche noi consideriamo molto difficile cimentarci con la potenza vostra e contro la sorte, se non sarà ad entrambi ugualmente amica. Tuttavia abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dei, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro un ingiusto sopruso. Quanto all'inferiorità delle nostre forze, ci assisterà l'alleanza di Sparta, che sarà indotta a portarci aiuto, se non altro per il vincolo dell'origine comune e per il sentimento d'onore. Non è, dunque, al tutto priva di ragione la nostra audacia.
Ateniesi:-Se è per la benevolenza degli dei, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati, poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s'accordi con quello che degli dei pensano gli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dei, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l'abbiamo inventata noi, non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla. Così come l'abbiamo ricevuta e la lasceremo ai tempi futuri, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto. Da parte degli dei, dunque, com'è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi. Per quel che riguarda poi l'opinione che avete degli Spartani e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l'onore, noi vi apprezziamo per il vostro senso di lealtà, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza. Gli Spartani, infatti, quando si tratta dei propri interessi e delle patrie istituzioni, sono più che mai seguaci della virtù, ma sui loro rapporti con gli altri popoli, molto ci sarebbe da dire.
Meli:-Anzi, è proprio questa la ragione che ci infonde la massima fiducia in quello che è un effettivo interesse loro: non vorranno essi, tradendo i Meli che sono loro coloni, suscitare il sospetto fra i Greci amici e favorire in tal modo i loro nemici. Inoltre noi siamo sicuri che, per la causa nostra, essi affronteranno più volentieri anche i pericoli e meno gravi li giudicheranno in confronto agli altri, perché, come campo di azione, siamo vicini al Peloponneso e, per disposizione d'animo, data la comune origine, diamo una garanzia di fedeltà maggiore degli altri.
Ateniesi:-Non è tanto la simpatia di coloro che invocano aiuto che garantisce la sicurezza di chi si accinge a portarlo, quanto, piuttosto, la superiorità effettiva delle loro forze. A questo gli Spartani badano anche più degli altri (non si fidano, infatti, della propria potenza e, per marciare contro i vicini, hanno bisogno dell'appoggio di molti alleati); sicché non c’è da pensare che essi facciano uno sbarco in un'isola, quando siamo noi i padroni del mare.
Meli:-Potrebbero, però, incaricare altri dell'impresa: è vasto il mare di Creta e sarà meno facile ai padroni del mare intercettare i convogli nemici, che a questi mettersi in salvo se vogliono non farsi scorgere. E se anche in questo dovessero fallire, potrebbero volgersi contro il vostro paese e contro quelli dei vostri alleati che non sono stati attaccati. Così voi sareste costretti a combattere non tanto per un paese estraneo, quanto per difendere i vostri alleati e il vostro stesso paese.
Ateniesi:-Voi sapete bene che gli Ateniesi non si sono mai ritirati da alcun assedio per paura d'altri e converrete che non ha nulla di infamante il riconoscere la superiorità della città più potente di Grecia, che ha propositi di moderazione, e diventarne alleati e tributari, conservando la sovranità nel vostro paese. Dato che vi si offre la scelta tra la guerra e la vostra sicurezza, non ostinatevi nel partito peggiore: il massimo successo arriderà sempre a quelli che si impongono a chi ha forze uguali e quelli più deboli trattano con moderazione e giustizia. Riflettete, dunque, anche quando noi ci ritireremo; ripetetevi spesso che è per la patria vostra che deliberate; che la patria è una sola e la sua sorte da una sola deliberazione sarà decisa, di salvezza o di rovina.
Meli:-Noi, o Ateniesi, mai ci indurremo a privare della sua libertà, in pochi momenti, una città che ha già 700 anni di vita, e, fidando nella buona sorte che fino ad oggi, con l'aiuto degli dei, l'ha salvata e nell'appoggio degli uomini, specie di Sparta, faremo di tutto per conservarla. Vi proponiamo la nostra amicizia e neutralità, a patto che vi ritiriate dal nostro paese, dopo aver concluso degli accordi che diano garanzia di tutelare gli interessi di entrambe le parti.
Ateniesi:-A quanto pare, dunque, voi siete i soli a considerare i beni futuri come più evidenti di quelli che avete davanti agli occhi, mentre con il desiderio voi vedete già tradotto in realtà ciò che ancora è incerto e oscuro. Orbene, poiché vi siete affidati agli Spartani, alla fortuna e alla speranza e in essi avete riposto la fiducia più completa, altrettanto completa sarà pure la vostra rovina.
Gli inviati di Atene se ne tornarono, quindi, all'accampamento e i generali allora, vedendo che i Meli non volevano sentir ragione, subito si accinsero ad atti di guerra e, ripartitisi i vari settori, costruirono un muro tutto intorno ai nemici. Poi gli Ateniesi lasciarono in terra e sul mare un presidio formato di soldati loro e alleati. Quindi con la maggior parte delle truppe si ritirarono. La guarnigione rimasta sul posto continuò l'assedio.
Nell'inverno seguente venne da Atene una seconda spedizione, sicché, stretti ormai da un assedio molto rigoroso ed essendosi anche verificato nell’isola qualche caso di tradimento, i Meli si arresero senza condizioni agli Ateniesi. Questi passarono per le armi tutti gli adulti caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne. Più tardi vi mandarono 500 coloni.
Ora, fatte le debite proporzioni, mettete gli Americani al posto degli Ateniesi, i Russi al posto degli Spartani e i Siriani al posto dei Meli. Cambia qualcosa?
Ezio Scaramuzzino


venerdì 21 aprile 2017

Il biglietto da visita (Racconto) di Achille Campanile

Ogni tanto fa bene ridere, o almeno sorridere. D'altra parte per indignarsi c'è sempre tempo, ammesso che nel nostro Paese, ormai allo sbando e nella fase terminale della sua esistenza, possa sopravvivere qualcosa per cui vale la pena indignarsi. Non restano che il disprezzo e la nobile arte dello scaracchio per chi ci ha ridotti in queste condizioni. Per intanto cinque minuti con il grande Achille Campanile.

Il viandante scalcagnato entrò col figlioletto nel vestibolo del sontuoso albergo, si diresse verso la cattedra del portiere e, dopo aver a lungo frugato nella rigonfia borsa spelacchiata che mai lo abbandonava, ne trasse un biglietto da visita e lo porse all'uomo gallonato.
«Mi annunzi al direttore» disse.
Il portiere, che intanto aveva squadrato dall'alto in basso lo strano personaggio, le sue scarpe malridotte e il nodoso bastone che a costui serviva per tener lontano i cani da pastore nelle sue lunghe peregrinazioni, dié un'occhiata al cartoncino. Di colpo, sbalordito, fece una riverenza al nuovo venuto e corse ad annunziarlo.
Sul biglietto si leggeva:
«S.E. prof. ing. avv. comm. Pasini».
Dopo poco dall'alto della scalea si precipitava giù il direttore dell'albergo in persona che, chiamato mentre stava per andare a letto, stava terminando di infilarsi il tight. Col biglietto in mano fece un profondo inchino al visitatore e: «In che posso servirla, eccellenza?» disse.
Il viandante scalcagnato si schermì.
«Non sono eccellenza» fece, modesto.
«Ma sul suo biglietto è stampato S.E.» osservò l'altro.
«Sono le iniziali del mio nome: Silvio Enea».
Il direttore era rimasto un po' smontato.
«Bene professore,» fece «dica pure».
Nuovamente l'altro ebbe un cortese gesto di protesta come chi non ambisca i titoli.
«Non sono professore» disse.
«Ma questo "prof."?»
«Abbreviazione di profugo» spiegò il nuovo venuto. «Sono profugo d'un campo di concentramento».
«Mi dispiace molto ingegnere» fece il direttore, dopo aver data un'altra occhiata al biglietto da visita.
«Non sono ingegnere» mormorò il visitatore.
«Eppure,» disse l'altro «qui c'è un "ing.". Non vorrà dirmi» aggiunse in tono rispettosamente scherzoso «ch'ella sia un ingenuo o un ingiusto, e tanto meno un ingeneroso».
«Ingegnoso,» precisò il viandante «nient'altro che ingegnoso. E gliela prova fra l'altro il fatto d'indicare questa mia virtù con un'abbreviazione che talvolta mi procura dei vantaggi».
«Ah,» fece il direttore, con una certa freddezza «allora la chiamerò soltanto col suo titolo di avvocato».
Il nuovo venuto fece spallucce.
«Quale titolo?» esclamò tra stupito e divertito per l'equivoco. «Quale avvocato? Quando feci fare i biglietti da visita non ero in pianta stabile nel posto che occupavo. Ciò le spiega quell'"avv." che tanto l'ha impressionato e che sta per avventizio».
«E qual era questo posto, commendatore?» domandò l'uomo in tight con deferenza; ché anche il titolo di commendatore, per quanto svalutato, merita qualche considerazione.
L'altro si fece serio.
«Non sono commendatore» precisò. «Non mi piace attribuirmi titoli che non ho. E ai quali non tengo».
«Eppure qui dice "comm."» scattò il direttore. «Oh, perdio santissimo, non sono mica cieco. Leggete anche voi». E sventolava il biglietto sotto gli occhi del portiere ammutolito.
Il viandante scalcagnato non si scompose.
«Abbreviazione di "commissionario"» disse con cortese fermezza. «Ero commissionario d'albergo».
S'udì un tonfo.
Il portiere gallonato, che aveva assistito alla scena, cadde lungo disteso. Il fatto che colui ch'egli aveva ritenuto, non soltanto commendatore, ma addirittura eccellenza, fosse invece un semplice commissionario fu per il brav'uomo il crollo di un'illusione. Tanto più che, tratto in inganno da quella sfilza di presunti titoli, egli aveva elargito al personaggio parecchi rispettosi inchini. Non si risollevò più dal colpo. Colto da un febbrone, in breve volger di tempo morì. Ma per fortuna la catastrofe avvenne dopo la fine della scena che è oggetto del presente racconto.
Quindi non saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una degenza complicata da un doloroso delirio.
Per il direttore dell'albergo, intanto, la notizia che il presunto commendatore altri non fosse che un commissionario fu una doccia fredda sul suo entusiasmo di poc'anzi.
«Dica, Pasini» mormorò seccamente.
L'altro scosse il capo.
«Che?» urlò il direttore. «Scuote il capo? Non sarebbe per caso nemmeno Pasini? Questo è troppo».
Ma l'altro lo tranquillizzò.
«Scuoto il capo per passatempo» disse.
«Bene, brav'uomo» borbottò il direttore; e dovette far forza a se stesso, ché non gli era facile dar del brav'uomo a uno che pochi istanti prima egli aveva creduto un commendatore. «Che cosa desidera?»
«Vorrei essere assunto come facchino».
«E mi fa anche alzare dal letto?» urlò il direttore. «Siamo al completo!»
Gli voltò le spalle piantandolo in asso.
Il viandante scalcagnato affondò il biglietto nella borsa e col figlioletto per mano si allontanò nella notte.

Da Gli asparagi e l'immortalità dell'anima




mercoledì 12 aprile 2017

Il gioco dei quattro cantoni

Ci avete capito qualcosa della guerra in Siria? Cerchiamo di venirne a capo e ricapitoliamo. Dunque, la guerra inizia nel 2011 sulla scia delle Primavere arabe che avevano portato a cambi di regime in Tunisia, Libia, Egitto. Solo che questa volta il presidente Bashar al-Assad riesce a resistere alle manifestazioni di piazza sobillate dall’Occidente, in particolare dagli USA di Barack Obama ed Hillary Clinton, e riesce anche a passare al contrattacco. La guerra dura da sei anni, non se ne intravede la fine e Assad appare ancora abbastanza saldamente in sella.
 I protagonisti della guerra sono numerosi e, contrariamente a quello che normalmente avviene nelle guerre classiche dove si combatte da una parte o dall'altra, i loro ruoli non sono sempre chiari e talvolta sono anche interscambiabili. Può capitare, ad esempio, che due combattano entrambi contro un nemico comune, ma non per questo sono alleati tra di loro. Esempio: i Curdi ed i Turchi combattono entrambi contro Assad, ma sono anche acerrimi nemici tra di loro. Conseguenza: se un soldato turco incontra un soldato siriano ed un miliziano curdo, prima spara al Curdo e poi, ma solo poi, al soldato siriano. Per converso può capitare che due schieramenti siano alleati tra di loro, ma non necessariamente hanno un comune nemico. Esempio: Turchi e Russi sono alleati, o almeno si considerano ufficialmente tali, ma i Turchi combattono contro Assad, mentre i Russi difendono Assad.
Insomma chi ci capisce è bravo e solo per cercare di fare un po’ di chiarezza in questo guazzabuglio simile ad una scacchiera dove ognuno si posiziona come vuole, si fornisce di seguito un quadro, necessariamente sommario, degli schieramenti. 
Siria - E’ la protagonista principale della guerra con il suo presidente Assad che resiste grazie soprattutto all’aiuto della Russia di Vladimir Putin. Assad appartiene alla minoranza musulmana degli Alawiti, vicini agli Sciiti e nemici dei Sunniti, cui appartengono l’ISIS e quasi tutte le altre sigle combattenti.
Russia - E’ la principale ed indispensabile alleata di Assad. Senza il suo aiuto la Siria sarebbe già crollata.
ISIS ( o DAESH in arabo) – Con l’emiro Abu Bakr al-Baghdadi  occupa buona parte del territorio in mano ai ribelli, il cosiddetto Califfato con capitale Raqqa, e costituisce il principale avversario del regime siriano.
Al-Nusra – E’ la reincarnazione, o quel che ne resta, della vecchia Al-Qaeda di Osama Bin Laden. Fa concorrenza ad ISIS in estremismo terroristico.
Turchia – Con il presidente Erdogan, è contro il regime siriano di Assad, ma,  dopo un primo periodo di ostilità, è attualmente alleata della Russia, che aiuta Assad. E’ anche nemica dell’ISIS, che combatte contro Assad.
Curdi - Costituiscono una forte minoranza in vari stati della regione, sono contro il regime di Assad e contro la Turchia che combatte i Curdi di casa propria e Assad. Tendono fondamentalmente alla creazione di uno stato curdo.
Qatar – E’ contro Assad, ma anche contro ISIS (almeno ufficialmente). Ricchissimo, si limita a finanziare la guerra.
Arabia Saudita – vedi Qatar.
IRAN – Costituisce, come è noto, uno stato teocratico sciita. Ufficialmente alleato di Assad.
Hezbollah – Gruppo sciita libanese, finanziato dall’IRAN ed ufficialmente alleato di Assad.
USA – Contro Assad e contro ISIS, appoggia ufficialmente i cosiddetti “ribelli moderati”. Di costoro però si ignora l’esistenza e la zona di attività, anche perché, probabilmente, esistevano solo nella fantasia di Barack Obama ed oggi esistono solo sulla carta.
Unione Europea – Non conta nulla, almeno qui in Siria, e si limita di tanto in tanto ad emettere qualche comunicato stampa. Chiedere per informazioni a Flavia Mogherini, Italiana ed Alto rappresentante per la politica estera dell’UE (mai nome così altisonante fu più sprecato in rapporto alla pochezza del personaggio che lo rappresenta). La Mogherini, per chi lo avesse dimenticato, è quella dalla lacrima facile e che, quando viene a sapere di un atto terroristico, invece di dare indicazioni sul da farsi, si mette a piangere.
Israele – Ufficialmente neutrale, alleato degli USA, semialleato della Russia di Putin, in cerca di un accomodamento con la Turchia di Erdogan, è un tradizionale nemico di Assad, di Hezbollah, dell’Iran e in dosi minori di tutti i paesi arabo-musulmani della regione. Vigila ed interviene di tanto in tanto allo scopo di eliminare soprattutto il pericolo sciita e far durare la guerra il più a lungo possibile, perché più i vicini si scannano tra di loro, meglio è. 
L’elenco non è finito, ma a me è venuto il mal di testa e mi fermo qui. Se anche a voi, come penso, è venuto il mal di testa e comunque avete voglia di capirne di più, provate a chiedere ad Angelino Alfano, nostro Ministro degli Esteri ed ex Ministro degli Interni, quello che “gli immigrati e i clandestini sono una risorsa”. Probabilmente, anzi quasi certamente, non ci ha capito niente nemmeno lui, anche perché, visti i suoi precedenti agli Interni, è da presumere che il suo Q.I. non gli consenta di volare alto. Comunque, siccome fa parte del governo, si farà spiegare qualcosa dalla Fedeli (Il Ministro alla P.I. con la Licenza media), o dalla Boschi ( il Ministro che si intende di banche e per questo è anche meglio conosciuta con il nome di Maria Elena Etruria Boschi), o dalla Madia (il Ministro che ha scopiazzato la tesi di laurea) e vi farà sapere.
Un'ultima breve annotazione. La menzogna quotidiana, continua, assillante, quasi universale, che ormai ci avvolge tutti come in una spirale di nebbia, considera, senza uno straccio di prova, Assad colpevole  dei recenti morti in Siria provocati dal gas. Bene. Dico chiaramente che la menzogna universale potrà anche inondarci e sommergerci, ma potrà farlo senza il mio pur modesto contributo, perché resta sempre menzogna. Ce l'ha insegnato Alexandr Solzenicyn, premio Nobel per la letteratura (quando il premio Nobel era ancora una cosa seria) nel suo famoso Vivere senza menzogna. Ed io, in tutta onestà, se debbo scegliere tra Alfano e Solzenicyn, non ho esitazioni: sto dalla parte di Solzenicyn. 
Ezio Scaramuzzino
P.S. I migliori e più fervidi auguri pasquali ai miei 25 lettori, che ringrazio ed abbraccio affettuosamente, uno per uno.






venerdì 7 aprile 2017

Forza ISIS!


Venerdì 7 aprile 2017, ore 16 circa. Sto leggendo un libro, mentre la TV continua a gracchiare inascoltata. Improvvisamente la mia attenzione viene attratta da un’edizione straordinaria del TG5. La giornalista annunzia che a Stoccolma un camion ha investito la folla causando un numero imprecisato di morti e feriti, come a Nizza, come a Berlino, come a Londra, come in tante altre parti del mondo, dove il terrorismo islamico ormai imperversa. Ascolto con attenzione, ma senza il coinvolgimento emotivo che una volta mi attanagliava profondamente quando ascoltavo notizie di questo genere.
Mi chiedo il perché di questa mia reazione e mi rispondo che forse siamo ormai abituati a queste notizie e che, per quanto ci si sforzi, non si riesce ad essere perennemente indignati e soprattutto indignati a comando. Già due giorni fa mi sono indignato per la strage nella metropolitana di San Pietroburgo; ieri mi sono indignato per i 70 morti causati in Siria dal gas nervino; stamattina mi sono indignato per la rappresaglia di Trump contro il presidente Assad, presunto colpevole della strage del giorno prima; ora mi tocca indignarmi per i morti di Stoccolma. Non ce la faccio più, non posso essere un indignato permanente, perché a tutto c’è un limite, anche all’indignazione, soprattutto quando poi tocca sorbirti il blablà inconcludente, ai limiti della follia, dei commenti e dei dibattiti televisivi. Ti tocca sentire che “forse”, sì “forse”, si tratta di un attentato, che l’attentatore probabilmente era un “depresso”, che probabilmente aveva problemi familiari, che era di religione islamica ma che l’Islam non c’entra nulla. Ma soprattutto si raggiungono livelli di sublime, tragica e schizofrenica comicità, quando il politico di turno se ne esce con le ultime parole famose: “Noi non ci faremo intimidire”. Mi ricorda tanto la buonanima di Totò (anzi del dott. Totò dopo che gli è stata conferita la laurea honoris causa alla memoria), che in uno sketch famoso raccontava di come, pure ricevendo un sacco di legnate da uno sconosciuto, non reagiva perché, diceva, “voglio vedere ‘sto scemo dove vuole arrivare”.
Ma, a parte il problema dell’indignazione, mi accorgo che c’è un altro sintomo piuttosto inquietante nel mio atteggiamento. Mi vergogno quasi a dirlo, ma, siccome la nausea mi spinge ad essere spietato con me stesso prima che con gli altri, sento che debbo dirlo: mi accorgo che nel mio subcosciente, nonostante io cerchi di eliminarlo o almeno di velarlo, incomincia a farsi strada un sentimento che mi fa stare dalla parte dei terroristi, dell’Islam, dell’ISIS (o DAESH, come lo chiamano i raffinati). Mi allarmo, chiudo definitivamente il libro che stavo leggendo, mi pongo delle domande, mi chiedo il perché di questo mio sentimento che sulle prime mi appare così assurdo, così lacerante.
Mi viene in mente Adolf Hitler. Quando egli divenne cancelliere nel 1933, tutti sapevano chi era, perché egli ci aveva scritto un libro sul suo programma, il famoso Mein kampf. Quando nel 1934 egli instaurò la dittatura, il resto del mondo non si preoccupò, perché erano cose che riguardavano solo i Tedeschi. Quando nello stesso 1934 egli sterminò le SA, il resto del mondo non si preoccupò, perché i Tedeschi si scannavano tra di loro. Quando nel 1938 occupò l’Austria, il resto del mondo non si preoccupò, perché la cosa riguardava solo l’Austria. Quando nel 1939 occupò la Cecoslovacchia, il resto del mondo non si preoccupò, perché la cosa riguardava solo la Cecoslovacchia. E lo stesso avvenne nello stesso 1939 con La notte dei cristalli, perché la cosa riguardava solo gli Ebrei. L’eterna viltà della diplomazia e dell’agire politico trovava sempre qualche giustificazione che servisse a privilegiare il quieto vivere ed il miserabile benessere del mondo occidentale. Hitler sarebbe stato infine costretto al suicidio, dopo milioni di morti ed un terribile lavacro di sangue e di orrori che avrebbe coinvolto il mondo intero.
Oggi si ha l’impressione di rivivere quei giorni. Il terrorismo islamico è all’attacco ovunque. Eppure il miserabile quieto vivere dell’Occidente si rifiuta persino di nominarlo l’Islam. Sicché ti tocca sentir dire che la colpa forse è nostra, forse è delle Crociate del Medioevo, forse è dello sfruttamento coloniale dei secoli scorsi, forse è del cambiamento meteorologico e della siccità che colpisce l’Africa, forse è di tutti, ma mai dell’Islam. Ritengo che l’Occidente si muoverà solo dopo una sfida decisiva, forse solo dopo un lavacro di sangue, che costringerà ad aprire gli occhi ed a non consentire altre mistificazioni e miserabili giustificazioni. Forse allora sarà pure troppo tardi, ma mi viene da pensare che è meglio tardi che mai.


lunedì 3 aprile 2017

Italia 2050

Io no so se Matteo Renzi  ed il laicismo in genere continueranno a contare molto nella politica italiana. Spero di no, ma temo di sì e dico questo in previsione di quello che probabilmente racconteranno gli storici e le generazioni future, non tra qualche secolo, ma molto prima, forse tra qualche decennio soltanto, quando presumibilmente l’Italia non esisterà più, almeno per come la conosciamo e per come essa è nata, si è costituita e si è evoluta nel corso dei secoli.
Qualche tempo fa, il premier turco Erdogan, l’aspirante dittatore al quale noi Europei abbiamo dato e continuiamo a dare miliardi di euro perché bloccasse il flusso dei migranti, ha ripreso ad inveire. Nonostante i miliardi già ricevuti, ha minacciato di sbloccare il flusso e di farci invadere dai migranti, più di quanto già non avvenga. Poi ha rivolto un appello ai milioni di Turchi che già vivono in Europa, invitandoli a fare più figli, almeno cinque a famiglia, perché solo così, diceva, essi sarebbero diventati i padroni dell’Europa.
      Interessante anche quello che di recente ha fatto il neo Ministro degli Interni, Marco Minniti, Calabrese. Non nascondo che il Minniti  mi sta simpatico e non solo perché siamo corregionali. A differenza di quel che sosteneva Alfano, secondo il quale i clandestini sono una risorsa, egli dice che invece l'invasione è un grosso problema. E' già un passo avanti. Convinto di questo, egli ha stipulato con le autorità libiche un patto, molto oneroso per l'Italia, per bloccare l'invasione. Nulla di male, ci mancherebbe, ma c'è un problema: Minniti il patto l'ha stipulato con le autorità di Tripoli, che non contano niente, invece che con quelle di Bengasi che sono i veri padroni della Libia. Cose che capitano, certo, e difatti nell'ultimo mese gli arrivi dalla Libia sono raddoppiati. 
Comunque, sulla base di quello che l’Islam ci minaccia, di quello che noi Europei ed Italiani facciamo, di quello che avviene ogni giorno, proviamo a pensare a quello che sarà l’Italia dell’anno 2050. Immaginiamo un professore di Storia che racconterà ai suoi alunni le vicende di questi nostri giorni.
Saremo in un Liceo di una qualunque città italiana, le classi saranno rigorosamente divise in maschili e femminili, i pochi Italiani autoctoni e superstiti saranno equamente divisi tra le varie classi, per non appesantire con la loro presenza il normale svolgimento delle lezioni. Il docente, probabilmente con il turbante e la barba, così si rivolgerà agli alunni:
In nome di Allah, clemente e misericordioso, e del suo Profeta Maometto, che Allah lo benedica, esaminiamo le vicende dei vari governi succedutisi negli anni 2011-2020. Erano quelli gli anni in cui imperava la cultura della dissoluzione e della morte, già ampiamente diffusa nella società italiana e in quegli anni favorita da vari governi e in particolare da quelli presieduti da Matteo Renzi, cattolico praticante ed ispirato dalla Chiesa del Papa che veniva dalle pampas argentine.
Ricordiamo le leggi più importanti in materia emanate durante i suoi governi, leggi considerate allora progressiste e liberali, ma in realtà ispirate ad una concezione della vita di tipo funerario ed oppressivo-mortuario: la liberalizzazione della droga, che porta a morire, non a vivere; le unioni civili tra sodomiti, che hanno un tasso di fertilità uguale a zero; l’eutanasia, che aiuta ad anticipare la morte, non ad allungare la vita; il suicidio assistito, che fa il paio con l'eutanasia; infine, nel 2020, la legalizzazione della pedofilia e dell’incesto tra adulti consenzienti, che portano alla dissoluzione della specie; senza dimenticare il massiccio ricorso alla contraccezione ed all’aborto, già legalizzati e largamente praticati da qualche decennio. L’edonismo e l’individualismo, impliciti in queste leggi, stavano portando, anzi avevano quasi già portato all’estinzione del popolo italiano.
Ma, per fortuna, siamo arrivati noi e, grazie a noi, il popolo italiano è rifiorito ed ha ripreso a crescere. Oggi, sempre grazie a noi, l’Italia è in piena espansione demografica ed economica e, quel che più conta, in piena espansione culturale. Basta guardarsi attorno: ogni città, ogni paese, ha la sua moschea, il suo bazar, il suo centro culturale islamico; ogni giovane italiano ed islamico studia con amore il Corano ed è pronto al martirio per la  fede; ogni giovane italiana ed islamica è sottomessa al padre, o ai fratelli, o al marito, considera il pudore la sua più grande virtù e rispetta tutte le altre leggi di Allah, clemente e misericordioso.
Certo il nostro compito non è stato facile. Abbiamo dovuto combattere contro gli infedeli, che mal tolleravano la nostra supremazia; abbiamo dovuto moralizzare la vita pubblica e privata, distruggendo soprattutto la mala pianta dell’omosessualità e di tutte le altre devianze sessuali; abbiamo dovuto combattere contro la corruzione e la depravazione della moribonda società occidentale; abbiamo dovuto uccidere, frustare, infliggere punizioni esemplari, sempre per convincere i riottosi.
Abbiamo dovuto anche ripulire le biblioteche, le cineteche, i musei, perfino le chiese, perché ognuno di questi luoghi era pieno di arte depravata e blasfema. Era opportuno e doveroso farlo, perché queste presunte opere d’arte, o contraddicevano il Corano e quindi erano peccaminose e contrarie all’Islam, o erano conciliabili con il Corano, nel qual caso erano superflue. Non capiterà più che in un libro vergognoso come “La Divina Commedia” un certo Dante Alighieri possa raccontare del nostro Profeta Maometto, che Dio lo benedica, sprofondato nell’Inferno tra gli scismatici. E non capiterà più che in una Chiesa, come quella che una volta esisteva a Bologna, si possa vedere un affresco con il nostro Profeta sempre all’Inferno. Abbiamo infine distrutto e raso al suolo le poche sinagoghe esistenti, costringendo gli Ebrei, i perfidi Ebrei, ad una nuova diaspora.
Ma possiamo essere soddisfatti di quel che abbiamo fatto e possono ritenersi soddisfatti anche gli Italiani della minoranza cristiana. Dopo un primo periodo di torbidi prolungati, nessuno ha più loro torto un capello e nessuno lo torcerà, sempre che essi accettino la loro condizione di Dhimmi,* cioè di minoranza cristiana, e paghino la tassa relativa a questa condizione. Noi musulmani saremo la nuova avanguardia di una società rinata e destinata a grandi imprese e ognuno di noi sarà lo scudo e la spada dell’Islam. Grazie ad Allah, clemente e misericordioso, ed al suo Profeta Maometto, che Allah lo benedica.
Ezio Scaramuzzino
* La dhimmitudine nei paesi musulmani  riguarda la condizione dei Cristiani, i quali sono tenuti a pagare una tassa secondo un curioso principio giuridico. Il discorso che i Musulmani fanno è questo. I Cristiani, in quanto tali, non meritano di vivere. Noi però siamo magnanimi, consentiamo loro di vivere e anzi li proteggiamo pure, solo che essi per questa protezione ci debbono ringraziare e pagare pure una tassa. L'alternativa al pagamento è la conversione all'Islàm.  La terza alternativa è la morte.