giovedì 23 marzo 2017

Decalogo del bravo docente di Franco Federico



Vi sono attività lavorative, nello svolgimento delle quali la professionalità non può essere simulata, né basta dichiararla a parole perché ne sia riconosciuto il possesso, ma va posseduta effettivamente. L’insegnamento è una di queste. E certamente è difficile capire come possa insegnare chi ha proprio tanto da imparare. Ciascun docente non insegna che quel che sa.
Ma è anche vero che si può conoscere una disciplina ed essere incapaci, sia di farla conoscere ai propri allievi, sia di misurare con esattezza fino a quale livello essa sia concretamente dagli stessi posseduta. Non ci sono discipline facili e discipline difficili; ci sono docenti capaci e docenti incapaci di rendere facile la propria disciplina. E, d’altra parte, quello che il ragazzo capisce bene, lo dimentica piuttosto difficilmente. Scorda subito ciò che invece non ha compreso del tutto chiaramente.
Aggiornamento non è leggere il libro di testo tutti i giorni prima della lezione. Occorre tenere sempre presente che il libro di testo rappresenta, nella generalità dei casi, la condensazione, ovvero l’essenzializzazione del sapere disciplinare e, come tale, è un sussidio dello studente con il cui contenuto questi confronterà, giorno dopo giorno, gli appunti delle varie lezioni. Il libro di testo va esaminato attentamente (leggendone possibilmente più capitoli), prima di decidere sulla sua adozione o meno. Del resto, nei vari Corsi di Aggiornamento si favorisce la conoscenza di ciò che occorre imparare attraverso la lettura meditata e attenta di libri e/o articoli di valide riviste scolastiche.
Non cessare mai di leggere i classici, perché non basta, forse, una vita per poterli leggere tutti. Non limitarsi a leggere di un classico solo quello che “passa” l’antologia scolastica. E leggere il classico in una buona edizione, possibilmente in quella che mette a disposizione il relativo testo critico. Fare ciò sia col classico italiano che con quello latino. Tante opere latine sono, oltretutto, di così breve respiro che la loro lettura non richiede molto tempo.
La prima formazione è più importante che mai, non solo perché, nel caso migliore, fornisce i fondamenti epistemologici delle discipline e l'impostazione metodologica di uno studio che va proseguito nel tempo, ma anche in considerazione del fatto che, da giovane, si dispone di più tempo e di maggiori energie e si è normalmente più motivati.  Si dovrebbe sentire come un dovere quello di seguire le più importanti novità librarie che riguardano le proprie discipline. A che serve riempirsi la casa solo dei cosiddetti “saggi” di libri scolastici? Di tante novità si viene a conoscenza tramite la buona Rivista scolastica, talvolta attraverso il quotidiano o il settimanale di diffusione nazionale, o la visita in una ben fornita libreria.
Data la vastità quasi infinita dei documenti storico-letterari e degli studi che li riguardano, è quasi impossibile che il sapere di un docente coincida con quello dei suoi colleghi. Per questo è opportuno individuare quelli che possono ritenersi i contenuti fondamentali delle proprie discipline, per il quale scopo si può essere aiutati dai colleghi che vantano il merito, oltre che della lunga esperienza, della grande passione scolastica e del sempre vivo interesse culturale.
Fare sempre il proprio dovere fino in fondo, anche se non mancano le ragioni per non farlo: lo stipendio inadeguato all’impegno e alla bravura professionale; l’appiattimento assoluto da ogni punto di vista; la mancanza di una prospettiva di carriera e di ogni forma di gratificazione diversa da quella che deriva dal successo del proprio lavoro. Il proprio dovere va fatto per i ragazzi e per le loro famiglie, non per il dirigente (che, in tanti casi, non si accorge di nulla, o è interessato solo a ciò che gli ruota intorno).
La predilezione degli insegnanti per la produzione di manifestazioni teatrali somiglia tanto alla predilezione provata dagli stessi per l'attività politica. Sia l'una che l'altra permettono quel riconoscimento pubblico delle proprie capacità, che manca all'ormai misero e piatto lavoro dell'insegnante di oggi.
Non porsi mai in atteggiamento di adulazione nei confronti del dirigente, chiunque esso sia. Se ci si accorge che appartiene a quella specie di vanitosi, oggi in così grande proliferazione, si fa bene ad ignorarlo completamente. Ad adularlo siano i “leccapiedi nati”, che non mancano mai in nessun settore e che, da che è mondo è mondo, ci sono sempre stati. Non si trovano parole per esprimere quale sdegno sia provocato dal riconoscimento automaticamente attribuito alle persone insignite di titoli, indipendentemente dal fatto che le stesse manchino di valore e di merito. A coloro che possiedono l'uno e l'altro, ma sono privi di un titolo di qualche rilievo, null'altro che l'isolamento o, nei casi migliori, quella che ci piace definire la "stima obbligatoria".
Occorre essere consapevoli che il disconoscimento sistematico dei valori professionali sul luogo di lavoro è sì un fenomeno tipico di tutto il settore pubblico, ma lo è in modo particolare della scuola. Esso, come sanno ormai tutti, rappresenta, oltre che un’enorme perdita dal punto di vista dell’efficienza, un palese affronto alla dignità della persona umana. Contro tale ingiustizia, non degna certo di un paese civile, non esistono purtroppo oppositori né tra i sindacalisti, né tra i partiti politici di destra o di sinistra.
Guai a giudicare con pressappochismo la propria opera di educatore. Si deve pur credere che, qualunque sia la disciplina che s’insegna, il proprio quotidiano esempio di rettitudine e il continuo dialogo con i ragazzi possano incidere sul loro effettivo miglioramento. E non si deve pensare che il lavoro del docente abbia a che fare solo con la sfera intellettiva. Anzi nell'educazione la relazione viene prima della didattica. Mai dimenticare che ogni ragazzo ha diritto ad essere rispettato, prima ancora che come studente, come persona; e, come tale, lo si deve considerare per ogni dimensione, oltre che per quella intellettiva. Bisogna rispettare sempre l'intimità del ragazzo e non essere con lui volgare né col comportamento, né col linguaggio e né con i ragionamenti. È rispettandolo che si riesce a meritare il suo rispetto. Spesso il ragazzo è costretto a "stare al cattivo gioco", perché posto nel ruolo più debole di studente.
Lasciare i problemi e i crucci personali dietro la porta dell'aula e mostrare una disponibilità continua e un umore non mutevole. Gli isterismi, le intemperanze, gli abusi di potere sono quanto di più odioso si possa perpetrare ai danni di un ragazzo. Quando una strigliata ci vuole, va fatta, ma senza mai eccedere. Bisogna, tuttavia, cercare di riconquistare subito il buon rapporto di prima. Niente "musoni" con i ragazzi.
Occorre sforzarsi di risultare più equo e più corretto che mai nell'esprimere le valutazioni intorno alle prove dei ragazzi, specie quando con le stesse - come solitamente accade - si stabiliscono differenziazioni e gerarchie tra loro. Gli studenti, anche i più "modesti", sanno essere giudici severi della capacità di valutazione dei propri docenti. Se si è giudicati ingiusti, parziali o pregiudizievoli, non basta la bella lezione per riuscire a riconquistare la loro stima e la loro fiducia. Ma equi e giusti bisogna esserlo con loro non solo nelle valutazioni, ma anche nel coinvolgimento nelle attività scolastiche e nell'attribuzione delle responsabilità.
Mai imitare il docente che, non sapendo farsi obbedire con la stima, si fa obbedire con il terrore. Ma essere amichevoli con i ragazzi non significa trasformarsi in un loro pari, perché essi si aspettano che il docente svolga la funzione del docente.
Dare, infine, grande valore al comportamento del ragazzo, quanto al suo profitto. Il che, nel concreto, deve tradursi nell'apprezzare che il suo comportamento sia improntato a civismo, correttezza, senso di amicizia, di lealtà e di solidarietà.
Franco Federico




     


       









2 commenti:

  1. Conosco bene il mondo della scuola, non fosse per altro che per avervi lavorato cinquanta anni. Ricordo che decisi di fare il professore, su sollecitazione dei miei, perché da studente “andavo bene” a scuola, in particolare in Latino e Greco ed allora era scontato che chi conosceva bene il Latino ed il Greco non poteva che fare il Professore. Ho deciso di andare in pensione quando, durante un “colloquio con le famiglie”, riconobbi un mio lontano ex alunno che accompagnava un mio attuale alunno e, come spesso mi capitava, gli chiesi se il giovane era suo figlio. Mi rispose: -No, professore, è mio nipote, figlio di mio figlio.
    In mezzo, quanti ricordi! Ogni tanto mi vien voglia di scriverne con ben altro respiro, poi me ne passa la voglia. Non so perché! Una sola domanda mi pongo spesso da qualche tempo: - Ma esiste ancora la scuola? Quella dove si andava ad imparare?
    Comunque, a parte ogni altra considerazione, sono pienamente d’accordo con quanto scrive l’amico e collega Franco Federico.

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  2. Si capisce che tu sei stato un professore molto bravo, un professore attento che sa dare agli alunni una buona preparazione. Infatti spesso succede che professori bravi non sappiano insegnare, forse è un dono che non tutti possiedono? non so perchè non ho potuto fare l'insegnante, a differenza della parte femminile e, parzialmente maschile, dei miei familiari: vicissitudini un po' dolorose me lo hanno impedito. Ma sono figlia di insegnante e madre di una professoressa che insegna proprio italiano e latino in un Liceo classico di Roma.
    Le mie origine materne però sono calabresi, mia madre nacque a Locri da
    famiglia originaria di Grotteria: leggerti è per me come leggere lo scritto di un parente!
    Complimenti vivissimi

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