martedì 7 giugno 2016

Il senso della vita


C’era una volta Aristotele, del quale, a torto, i seguaci dello Scientismo sostenevano che avesse una concezione fantasiosa e nel complesso approssimativa della realtà. Lo stesso si pensò nei secoli successivi a proposito dei seguaci di Aristotele, da Tommaso d’Aquino fino ai neoaristotelici del Seicento. Questo atteggiamento critico giunse a definitiva maturazione con Galileo Galilei, il quale vedeva nell’universo un ordine matematico che rappresentava, secondo lui, la prova più evidente, immediata ed intuitiva dell’esistenza di un Dio creatore. Nell’attribuire alla Scienza un criterio fondamentale di interpretazione della realtà concordarono poi Isaac Newton, gli Illuministi, i Positivisti e, in tempi più recenti, pur con alcune limitazioni, Karl Popper e tutti coloro che si richiamano, più o meno direttamente, al suo insegnamento.
Oggi possiamo tranquillamente sostenere che questa tendenza ad una concezione meccanicistica e scientista della realtà è arrivata ad un livello semplicemente impensabile fino a qualche anno fa e lo dimostra la propensione inarrestabile ad attribuire, anche nei nomi, carattere di scientificità ad ogni forma di conoscenza riconducibile all’attività umana. A volte anche con esiti francamente umoristici. La vecchia e cara Psicologia di una volta oggi si chiama Scienze psicologiche, la Sociologia è diventa Scienze sociali e così via in tanti altri ambiti. Con l’ultima riforma della Scuola l’Educazione fisica è diventata Scienze motorie e sportive, mentre la vecchia Geografia si chiama ora anche Scienze della Terra. Pare che qualunque branca del sapere, se non è supportata da un nome che faccia riferimento alla Scienza, diventa qualcosa di secondario, di trascurabile, di indegno. Ma è sufficiente aggiungere al nome l’appellativo di “Scienza” per far diventare tale una branca del sapere che tale non è? E fino a che punto è giustificabile questa tendenza?
Sia ben chiaro: nessuno vuol disconoscere il fatto che la Scienza costituisca un elemento interpretativo indispensabile ed imprescindibile in molti settori della conoscenza. La Fisica, la Chimica, la Biologia, l’Astronomia, la Tecnica sarebbero un niente senza la Scienza. Senza questo presupposto, l’Astronomia sarebbe ancora l’Astrologia, con cui ancora oggi gli analfabeti di ritorno cercano di trovare conforto alle paure e alle disgrazie della vita,  e la Chimica si confonderebbe ancora con l’Alchimia, con cui i vecchi ciarlatani andavano alla ricerca della pietra filosofale che doveva tramutare ogni metallo in oro. Ovviamente nessuna persona dotata di un minimo di buon senso può condividere tali posizioni. Ma, e bisogna pur dirlo, la Scienza può veramente spiegare tutto?
L’Economia, quella che una volta si chiamava semplicemente Economia e che oggi si chiama Scienze economiche, rivendicando pretese scientifiche, non è riuscita, pur con tutte le sue pretese, a prevedere e ancor più a risolvere le tremenda crisi economica che da circa otto anni sta sconvolgendo la vita del pianeta Terra. Questo perché l’Economia, pur con tutte le sue pretese di Scientificità, in realtà non è una Scienza. Se lo fosse stata, bastava applicare qualche formula: i professori universitari di Economia sarebbero tutti ricchi e i grandi problemi economici che ci affliggono sarebbero stati già risolti. E invece, purtroppo, non è così.
Veramente si può ritenere che ogni evento, ogni fenomeno sia riconducibile a formule, a diagrammi, istogrammi, a parametri ed algoritmi? Quale formula può spiegare e dare un’idea della bellezza di un tramonto? Quale formula o quale modificazione ghiandolare può dare l’idea dell’inizio o della fine di un amore? E quale scienza può spiegare il senso e il mistero della nostra vita?
Mi piace ricordare che già Eugenio Montale diceva:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba  e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

E, in maniera ancora più suggestiva e drammatica, il pastore errante di Giacomo Leopardi si chiedeva:

Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.

A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?

1 commento:

  1. Io, da quando sono in pensione, mi occupo intensamente di scienze fancazzistiche.

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