giovedì 30 giugno 2016

Masetto da Lamporecchio (Novella) di Giovanni Boccaccio




Una breve novella, poco conosciuta, dal Decameron di Giovanni Boccaccio. Ne propongo una mia versione in lingua italiana moderna, seguita dall’originale di Boccaccio.


Cera e c’è ancora dalle nostre parti un convento famoso per la sua santità e che non intendo nominare per non pregiudicarne la fama. C’erano in questo convento una badessa ed otto suore, tutte giovani, oltre ad un ortolano, che, non contento del salario, preferì ritornarsene a casa sua, a Lamporecchio. Qui egli incontrò Masetto, giovane lavoratore forte e robusto, oltre che di bell'aspetto, il quale gli chiese dove fosse stato tutto quel tempo. Il buonuomo gli parlò del suo lavoro:- Lavoravo in un giardino bello e grande, presso un convento, andavo in un bosco a raccogliere legna ed a prendere l’acqua, ma le suore, tutte giovani, non erano mai contente e mi pagavano così poco, che ho preferito licenziarmi. Mi hanno anche chiesto di trovare un altro ortolano, cosa che mi guardo bene dal fare.
Masetto, udendo queste parole, sperò di ritrovarsi prima o poi in questo convento, sicuro di poter realizzare  così un suo vecchio desiderio. Salutò il suo amico e incominciò a meditare sul da farsi, consapevole che l’unica cosa che poteva creargli qualche problema era il fatto di essere troppo giovane e troppo appariscente. Dopo avere riflettuto a lungo, pensò: Il monastero è lontano da qui e certamente nessuno mi conosce. Se faccio finta di essere sordomuto, certamente mi accetteranno.
Si presentò al convento nelle vesti di un poveraccio e per caso si imbatté proprio nell’amministratore, al quale, a gesti alla maniera dei sordomuti, chiese di poter mangiare per l’amore di Dio, dichiarandosi disponibile, se volevano, a ricambiare poi con qualche lavoretto. L’amministratore gli diede volentieri del cibo e, in cambio,  gli fece tagliare della legna, cosa che egli sbrigò in poco tempo. Poi lo condusse nel bosco a tagliare altra legna, gli affidò un asino e, sempre a gesti, gli ordinò di portare tutto al convento. Masetto sbrigò la faccenda molto velocemente e con cura, tanto che l’amministratore, che aveva tante altre necessità, lo trattenne per parecchi giorni. La badessa lo vide e chiese chi fosse quel giovanotto.
L'amministratore rispose:- Madonna, è un povero sordomuto, che si sta rivelando molto utile. Se egli sapesse fare anche l’ortolano e volesse rimanere, penso che ci converrebbe trattenerlo, perché è forte  e vigoroso, senza dimenticare poi che il fatto di essere sordomuto gli impedirebbe di parlare con le suore.
Al che la badessa:- Hai proprio ragione. Vedi un po’ e datti da fare. Vestilo con un po’ di roba vecchia, tienilo buono e fallo mangiare bene.
Masetto, che non era lontano, sentì tutto e disse tra sé:- Se mi mettete a lavorare qua dentro, io vi lavorerò l’orto, come non ve lo ha mai lavorato nessuno.
L’amministratore gli chiese a gesti se intendeva restare e, alla sua risposta positiva, gli fece vedere quel che c’era da fare e se ne andò. Masetto prese a lavorare stabilmente in convento e un giorno le monache, convinte che egli non sentisse, incominciarono a dirgli le parole più sfacciate del mondo, senza che la badessa se ne preoccupasse più di tanto, come se a Masetto, oltre che l’udito e la parola, mancasse anche qualcos’altro.
Un giorno Masetto aveva molto lavorato e stava riposando, quando due monachelle si avvicinarono  ed incominciarono ad osservarlo, mentre egli faceva finta di dormire. La prima, un po’ più coraggiosa, disse alla compagna: -Se sai mantenere un segreto, ti rivelo un pensiero che mi è venuto spesso e che potrebbe essere utile anche a te. E l’altra:- Certo che so mantenerlo, parla!. La prima riprese:- Hai mai fatto caso a come viviamo in ristrettezze qua dentro? Mai un uomo, tranne l’amministratore che è vecchio, e questo qua, che è giovane ma è anche sordomuto. Eppure io ho sentito dire da altre donne che tutti i piaceri del mondo sono niente rispetto a quello che una donna può prendersi  quando si giace con un uomo. Per cui mi sono ripromessa, visto che con altri non si può, di provare con questo  se è veramente così. Non dimentichiamo poi che egli è sordomuto e quindi, anche se volesse, non potrebbe farne parola con nessun altro. Inoltre  sembra un giovinastro sciocco e di poco cervello.  
–Ohimè, riprese l’altra, ma non lo sai che noi abbiamo promesso la nostra verginità a Dio?
-Oh, replicò la prima, se è per questo, se ne promettono tante di cose a Dio e poi si dimenticano. Ci penserà qualcun’altra a mantenere la promessa.
E l’altra:- E se restassimo incinte, come ne verremmo fuori?
E la prima:- Tu ti preoccupi prima del tempo. Se succederà, ci penseremo. Ci saranno mille modi di non farlo sapere, purché non saremo noi a dirlo.
E l’altra, che già si sentiva addosso uno strano prurito,:-Ah, va bene. Come facciamo dunque?
La prima:- E’ il primo pomeriggio. A quest’ora le suore certamente stanno tutte a riposare. Vediamo prima in giro se c’è qualcuno, poi lo prendiamo per mano e lo portiamo in quel piccolo capanno. Una si giace con lui e l’altra fa la guardia. Lui, che è un sempliciotto, farà certamente tutto quel che vorremo. Che te ne pare?
Masetto ascoltava tutto e, disposto ad ubbidire, non vedeva l’ora di esser preso da una di loro. Queste, dopo aver fatto una rapida perlustrazione in giro, lo svegliarono e la prima monachella, quella più coraggiosa, lo prese per mano, mentre egli faceva il finto tonto, e lo condusse nel capanno. Qui Masetto, senza farsi troppo pregare, fece tutto quel che ella volle. Poi la monachella, lealmente, scambiò il posto  con la seconda monachella ed ancora una volta Masetto, senza farsi troppo pregare, soddisfece ogni  desiderio. Le due monachelle quel giorno vollero mettere alla prova Masetto più di una volta. In seguito si ritrovarono spesso a parlarne tra di loro e, dopo aver convenuto che era proprio vero quel che avevano sentito dire in giro e cioè che quello era proprio il più grande piacere che si potesse godere nella vita, correvano subito da Masetto per avere conferma delle loro convinzioni .
Un giorno una loro compagna da una piccola finestra della sua cella si accorse del fatto e avvertì altre due monachelle. Le tre in un primo momento decisero di accusarle con la badessa, ma poi, ricredutesi, ritennero opportuno mettersi d’accordo con le prime due per poter godere anche loro dei favori di Masetto. In ultimo anche la badessa, ignara di tutto, mentre un giorno si trovava ad attraversare  il giardino in pieno sole, trovò Masetto disteso addormentato all’ombra di un mandorlo  e stanco per le cavalcate notturne, non certo per la poca fatica giornaliera dell’orto. Il vento gli aveva sollevato sul davanti i lembi del vestito, sicché la badessa poté ammirarlo in tutte le sue fattezze ed apprezzò ciò che altre avevano già molto apprezzato prima di lei. Lo svegliò, lo condusse nella sua cella e se lo tenne a disposizione per parecchi giorni. Ebbe modo di provare e riprovare quel piacere che essa in precedenza era solita rimproverare alle altre, mentre le monache protestavano e lamentavano il fatto che l’orto non era più curato come una volta.
In ultimo Masetto, richiesto di continue prestazioni, capì che non poteva più continuare quella vita e che il suo fingersi sordomuto poteva risolversi in suo grave danno. Pertanto una notte, mentre giaceva con la badessa, improvvisamente incominciò a parlare:- Madonna, io ho sentito dire che un gallo basta per dieci galline e che dieci uomini non bastano per una femmina, mentre io solo mi trovo a dover soddisfare le voglie di ben nove. Vi chiedo come io possa continuare così, per cui, o mi lasciate andare con Dio o vi prego di trovare una soluzione.
La donna, che lo credeva sordomuto, sentendolo parlare, si meravigliò forte. Riprese Masetto:- Madonna, io ero sordomuto, non dalla nascita, ma per una malattia che mi aveva tolto la favella. Ora mi accorgo di essere guarito e ne lodo e ringrazio Iddio.
La donna credette a tutto e gli chiese che significasse quel suo dover soddisfare le voglie di nove femmine. Masetto rivelò ogni cosa e la badessa capì che, senza lasciarlo partire, era necessario trovare un accordo con le altre monache ed impedire che il monastero ne risultasse svergognato.
Proprio in quei giorni era morto il vecchio amministratore per cui, ammesso apertamente ciò che in precedenza era stato tenuto nascosto, tutte insieme decisero di sostituirlo con Masetto, non senza prima aver messo in giro la notizia che egli aveva riacquistato la favella grazie alle loro preghiere e ai loro digiuni. Decisero anche di ripartire saggiamente i suoi vari incarichi, in modo che egli potesse accudirvi senza troppi sforzi.
Da queste relazioni nacquero nel corso degli anni varie monachine, ma tutte seppero bene operare e nulla  trapelò fuori del convento, tranne dopo la morte della badessa, quando Masetto, già vecchio, manifestò il desiderio di tornarsene a casa sua. Cosa che gli fu accordata senza troppe difficoltà.
Così dunque Masetto, vecchio, padre e ricco, senza dover faticare o spendere per dei figli, dopo aver ben utilizzato la sua giovinezza, si godette gli ultimi anni della vita. Ricordava di essere partito povero in un giorno lontano ed affermava che così Gesù Cristo trattava coloro che Gli mettevano le corna sopra il cappello.

Giovanni Boccaccio, dal Decameron, Giornata III, Novella I. Versione in lingua italiana moderna di Ezio scaramuzzino. 
Segue l'originale dal Decameron.

In queste nostre contrade fu, ed è ancora, un monistero di donne assai famoso di santità (il quale io non nomerò per non diminuire in parte alcuna la fama sua), nel quale, non ha gran tempo, non essendovi allora più che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era un buono omicciuolo d'un loro bellissimo giardino ortolano, il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a Lamporecchio, là ond'egli era, se ne tornò. Quivi, tra gli altri che lietamente il raccolsono, fu un giovane lavoratore forte e robusto e, secondo uom di villa, con bella persona e con viso assai piacevole, il cui nome era Masetto; e domandollo dove tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto avea nome, gliele disse. Il quale Masetto domandò, di che egli il monistero servisse. 
     A cui Nuto rispose: - Io lavorava un loro giardino bello e grande e, oltre a questo, andava alcuna volta al bosco per le legne, attigneva acqua e faceva cotali altri servigetti; ma le donne mi davano sì poco salaro, che io non ne potevo appena pure pagare i calzari. E, oltre a questo, elle son tutte giovani e parmi ch'elle abbiano il diavolo in corpo, ché non si può far cosa niuna al lor modo; anzi, quand'io lavorava alcuna volta l'orto, l'una diceva: - Pon qui questo -; e l'altra: - Pon qui quello -; e l'altra mi toglieva la zappa di mano e diceva: - Questo non sta bene -; e davanmi tanta seccaggine, che io lasciava stare il lavorio e uscivami dell'orto; sì che, tra per l'una cosa e per l'altra, io non vi volli star più e sonmene venuto. Anzi mi pregò il castaldo loro, quando io me ne venni, che, se io n'avessi alcuno alle mani che fosse da ciò, che io gliele mandassi, e io gliele promisi; ma tanto il faccia Dio san delle reni, quanto io o ne procaccerò o ne gli manderò niuno.

      A Masetto, udendo egli le parole di Nuto, venne nell'animo un disidero sì grande d'esser con queste monache, che tutto se ne struggea, comprendendo per le parole di Nuto che a lui dovrebbe poter venir fatto di quello che egli disiderava. E avvisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse: - Deh come ben facesti a venirtene! Che è un uomo a star con femine? Egli sarebbe meglio a star con diavoli: elle non sanno delle sette volte le sei quello che elle si vogliono elleno stesse.

      Ma poi, partito il lor ragionare, cominciò Masetto a pensare che via dovesse tenere a dovere potere esser con loro; e conoscendo che egli sapeva ben fare quegli servigi che Nuto diceva, non dubitò di perder per quello, ma temette di non dovervi esser ricevuto per ciò che troppo era giovane e appariscente. Per che, molte cose divisate seco, imaginò: - Il luogo è assai lontano di qui e niuno mi vi conosce; se io so far vista d'esser mutolo, per certo io vi sarò ricevuto -. 

       E in questa imaginazione fermatosi, con una sua scure in collo, senza dire ad alcuno dove s'andasse, in guisa d'un povero uomo se n'andò al monistero; dove pervenuto, entrò dentro e trovò per ventura il castaldo nella corte; al quale faccendo suoi atti come i mutoli fanno, mostrò di domandargli mangiare per l'amor di Dio e che egli, se bisognasse, gli spezzerebbe delle legne. Il castaldo gli diè da mangiar volentieri, e appresso questo gli mise innanzi certi ceppi che Nuto non avea potuto spezzare, li quali costui, che fortissimo era, in poca d'ora ebbe tutti spezzati. Il castaldo, che bisogno avea d'andare al bosco, il menò seco, e quivi gli fece tagliate delle legne; poscia, messogli l'asino innanzi, con suoi cenni gli fece intendere che a casa ne le recasse. Costui il fece molto bene, per che il castaldo a far fare certe bisogne che gli eran luogo più giorni vel tenne. De quali avvenne che uno dì la badessa il vide, e domandò il castaldo chi egli fosse. 

      Il quale le disse: - Madonna, questi è un povero uomo mutolo e sordo, il quale un di questi dì ci venne per limosina, sì che io gli ho fatto bene, e hogli fatte fare assai cose che bisogno c'erano. Se egli sapesse lavorar l'orto e volesseci rimanere, io mi credo che noi n'avremmo buon servigio, per ciò che egli ci bisogna, ed egli è forte e potrebbene l'uom fare ciò che volesse; e, oltre a questo, non vi bisognerebbe d'aver pensiero che egli motteggiasse queste vostre giovani.

      A cui la badessa disse: - In fè di Dio tu di'il vero. Sappi se egli sa lavorare e ingegnati di ritenercelo; dagli qualche paio di scarpette qualche cappuccio vecchio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli ben da mangiare. 

       Il castaldo disse di farlo. Masetto non era guari lontano, ma faccendo vista di spazzar la corte tutte queste parole udiva, e seco lieto diceva: - Se voi mi mettete costà entro, io vi lavorrò sì l'orto che mai non vi fu così lavorato -.

      Ora, avendo il castaldo veduto che egli ottimamente sapea lavorare e con cenni domandatolo se egli voleva star quivi, e costui con cenni rispostogli che far voleva ciò che egli volesse, avendolo ricevuto, gl'impose che egli l'orto lavorasse e mostrogli quello che a fare avesse; poi andò per altre bisogne del monistero, e lui lasciò. Il quale lavorando l'un dì appresso l'altro, le monache incominciarono a dargli noia e a metterlo in novelle, come spesse volte avviene che altri fa de'mutoli, e dicevangli le più scelerate parole del mondo, non credendo da lui essere intese; e la badessa, che forse estimava che egli così senza coda come senza favella fosse, di ciò poco o niente si curava.

      Or pure avvenne che costui un dì avendo lavorato molto e riposandosi, due giovinette monache, che per lo giardino andavano, s'appressarono là dove egli era, e lui che sembiante facea di dormire cominciarono a riguardare. Per che l'una, che alquanto era più baldanzosa, disse all'altra: - Se io credessi che tu mi tenessi credenza, io ti direi un pensiero che io ho avuto più volte, il quale forse anche a te potrebbe giovare.

      L'altra rispose: - Di'sicuramente, ché per certo io nol dirò mai a persona.

      Allora la baldanzosa incominciò: - Io non so se tu t'hai posto mente come noi siamo tenute strette, né che mai qua entro uomo alcuno osa entrare, se non il castaldo ch'è vecchio e questo mutolo; e io ho più volte a più donne, che a noi son venute, udito dire che tutte l'altre dolcezze del mondo sono una beffa a rispetto di quella quando la femina usa con l'uomo. Per che io m'ho più volte messo in animo, poiché con altrui non posso, di volere con questo mutolo provare se così è. Ed egli è il miglior del mondo da ciò costui; ché, perché egli pur volesse, egli nol potrebbe né saprebbe ridire. Tu vedi ch'egli è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno; volentieri udirei quello che a te ne pare.

      - Ohimè! - disse l'altra, - che è quello che tu di'? Non sai tu che noi abbiam promesso la virginità nostra a Dio?

      - Oh, - disse colei, - quante cose gli si promettono tutto '1 dì, che non se ne gli attiene niuna! se noi gliele abbiam promessa, truovisi un'altra o dell'altre che gliele attengano.

      A cui la compagna disse: - O se noi ingravidassimo, come andrebbe il fatto?

      Quella allora disse: - Tu cominci ad aver pensiero del mal prima che egli ti venga; quando cotesto avvenisse, allora si vorrà pensare; egli ci avrà mille modi da fare sì che mai non si saprà, pur che noi medesime nol diciamo.
      Costei, udendo ciò, avendo già maggior voglia che l'altra di provare che bestia fosse l'uomo, disse: - Or bene, come faremo?
      A cui colei rispose: - Tu vedi ch'egli è in su la nona; io mi credo che le suore sien tutte a dormire, se non noi; guatiam per l'orto se persona ci è, e s'egli non ci è persona, che abbiam noi a fare se non a pigliarlo per mano e menarlo in questo capannetto, là dove egli fugge l'acqua; e quivi l'una si stea dentro con lui e l'altra faccia la guardia? Egli è sì sciocco, che egli s'acconcerà comunque noi vorremo.
      Masetto udiva tutto questo ragionamento, e disposto ad ubidire, niuna cosa aspettava se non l'esser preso dall'una di loro. Queste, guardato ben per tutto e veggendo che da niuna parte potevano esser vedute, appressandosi quella che mosse avea le parole a Masetto, lui destò, ed egli incontanente si levò in piè. Per che costei con atti lusinghevoli presolo per la mano, ed egli faccendo cotali risa sciocche, il menò nel capannetto, dove Masetto senza farsi troppo invitare quel fe ce che ella volle. La quale, sì come leale compagna, avuto quel che volea, diede all'altra luogo, e Masetto, pur mostrandosi semplice, faceva il lor volere. Per che avanti che quindi si dipartissono, da una volta in su ciascuna provar volle come il mutolo sapea cavalcare; e poi, seco spesse volte ragionando, dicevano che bene era così dolce cosa, e più, come udito aveano; e prendendo a convenevoli ore tempo, col mutolo s'andavano a trastullare.
      Avvenne un giorno che una lor compagna, da una finestretta della sua cella di questo fatto avvedutasi, a due altre il mostrò. E prima tennero ragionamento insieme di doverle accusare alla badessa; poi, mutato consiglio e con loro accordatesi, partefici divennero del podere di Masetto. Alle quali l'altre tre per diversi accidenti divenner compagne in vari tempi. Ultimamente la badessa, che ancora di queste cose non s'accorgea, andando un dì tutta sola per lo giardino, essendo il caldo grande, trovò Masetto (il qual di poca fatica il dì, per lo troppo cavalcar della notte, aveva assai) tutto disteso al l'ombra d'un mandorlo dormirsi, e avendogli il vento i panni dinanzi levati indietro, tutto stava scoperto. La qual cosa riguardando la donna, e sola vedendosi, in quel medesimo appetito cadde che cadute erano le sue monacelle; e, destato Masetto, seco nella sua camera nel menò, dove parecchi giorni, con gran querimonia dalle monache fatta che l'ortolano non venia a lavorar l'orto, il tenne, provando e riprovando quella dolcezza la qual essa prima all'altre solea biasimare.
      Ultimamente della sua camera alla stanza di lui rimandatolne, e molto spesso rivolendolo, e oltre a ciò più che parte volendo da lui, non potendo Masetto sodisfare a tante, s'avvisò che il suo esser mutolo gli potrebbe, se più stesse, in troppo gran danno resultare. E perciò una notte colla badessa essendo, rotto lo scilinguagnolo, cominciò a dire: - Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a dieci galline, ma che dieci uomini possono male o con fatica una femina sodisfare, dove a me ne conviene servir nove, al che per cosa del mondo io non potrei durare; anzi son io, per quello che infino a qui ho fatto, a tal venuto che io non posso far né poco né molto; e perciò o voi mi lasciate andar con Dio, o voi a questa cosa trovate modo.
      La donna udendo costui parlare, il quale ella teneva mutolo, tutta stordì, e disse: - Che è questo? Io credeva che tu fossi mutolo.
      - Madonna, - disse Masetto - io era ben così, ma non per natura, anzi per una infermità che la favella mi tolse, e solamente da prima questa notte la mi sento essere restituita, di che io lodo Iddio quant'io posso.
      La donna sel credette, e domandollo che volesse dir ciò che egli a nove aveva a servire. Masetto le disse il fatto. Il che la badessa udendo, s'accorse che monaca non avea che molto più savia non fosse di lei; per che, come discreta, senza lasciar Masetto partire, dispose di voler colle sue monache trovar modo a questi fatti, acciò che da Masetto non fosse il monistero vituperato. Ed essendo di que'dì morto il lor castaldo, di pari consenatimento, apertosi tra tutte ciò che per addietro da tutte era stato fatto, con piacer di Masetto ordinarono che le genti circustanti credettero che, per le loro orazioni e per gli meriti del santo in cui intitolato era il monistero, a Masetto, stato lungamente mutolo, la favella fosse restituita, e lui castaldo fecero; e per sì fatta maniera le sue fatiche partirono, che egli le poté comportare. Nelle quali, come che esso assai monachin generasse, pur sì discretamente procedette la cosa che niente se ne sentì se non dopo la morte della badessa, essendo già Masetto presso che vecchio e disideroso di tornarsi ricco a casa; la qual cosa saputa, di leggier gli fece venir fatto.
      Così adunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza aver fatica di nutricar figliuoli o spesa di quegli, per lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare, donde con una scure in collo partito s'era se ne tornò, affermando che così trattava Cristo chi gli poneva le corna sopra 'l cappello.
Giovanni Boccaccio









sabato 25 giugno 2016

Islam, Italia


E’ ufficiale: la nuova RAI al servizio di Matteo Renzi manderà in onda da Settembre una trasmissione di intrattenimento, Islam, Italia, con la conduzione di Gad Lerner. Il titolo ed  il conduttore sono già tutto un programma. Non è difficile immaginarne lo stile e l’intendimento: Lerner proverà a sottolineare le magnifiche sorti e progressive della nuova Italia che ci attende e cercherà anche di insegnare, a quelli che ancora recalcitrano, le buone maniere nel trattare questi nostri nuovi fratelli che ci stanno colonizzando.
Immagino già la scaletta del programma. Si incomincia con un servizio che esalta la bellezza del burka e del chador. A Milano sfilano modelle neoconvertite ed in studio le ministre Madia e Boschi esibiscono un civettuolo velo islamico ed esaltano il nuovo clima  determinato dalla politica del governo. Si passa poi  ad una partita di calcetto femminile tra  una squadra che rappresenta le cooperative che operano nel campo dell’accoglienza ed una squadra di giovani calciatrici musulmane. Inutile dire che sono tutte intabarrate dalla testa ai piedi, anche le Italiane, che hanno deciso di adeguare il loro abbigliamento in nome della fratellanza, anzi della sorellanza universale. Nel terzo servizio ci si collega con un hotel, dove circa 100 giovani musulmani, ospiti gratuiti ed appena sbarcati nel nostro Paese, sono in rivolta perché gli spaghetti serviti non sono di loro gradimento. Un rappresentante del prefetto ha premura di tranquillizzarli, chiedendo scusa e garantendo per il pasto serale montagne di kebab e di couscous. In studio Gad Lerner trova che la vicenda degli spaghetti scotti non lo convince a pieno e non esclude lo zampino del Mossad, i servizi segreti di Israele. Il quarto servizio si pregia di illustrare dove è possibile, in Italia, imparare l’Arabo, la lingua, fa sapere sempre il servizio, in cui sono stati scritti il Corano, le favole delle  Mille e una notte e, per chi proprio volesse approfondire, anche le opere di Avicenna e di Averroè. Il quinto servizio vede un intervento in studio del deputato PD Khalid Chaouki, di origini marocchine, cui fa da scendiletto Lerner e al quale fanno da contorno i vocalizzi di un gruppo di donne berbere.
Certo, ho scherzato, ma solo un pochino, sia ben chiaro, perché il resto può benissimo diventare realtà. E la realtà, oggi, è rappresentata da un lento, continuo, malcelato, programmato, voluto stupro ai danni del popolo italiano. Questo popolo che, finalmente, incomincia a preoccuparsi anche del futuro e che ha quindi incominciato ad aprire gli occhi, dopo aver avvertito sensazioni dolorose nel fondoschiena.
Sull'altro versante gli autori dello stupro continuano imperterriti e sprezzanti nella loro opera di distruzione. Mi auguro che un giorno possano essere chiamati a renderne conto. D'altra parte l'invasione islamica, favorita dalla UE, in Inghilterra ha prodotto il Brexit. Possibile che in Italia debba produrre soltanto trasmissioni televisive?

lunedì 20 giugno 2016

Considerazioni di un impolitico


      
      Esauriti i ballottaggi nelle amministrative, si ha un quadro più definito dell’evoluzione politica nel nostro Paese. Ovviamente nessuno ha la pretesa di dare a questi risultati valori ultimativi,  anche perché un voto amministrativo, per quanto importante, resta pur sempre amministrativo, ma alcune linee di tendenza possono cogliersi abbastanza chiaramente.  Intanto un primo fatto importante è l’esplosione del movimento grillino, che non è più un dato episodico, ma si pone come punto di riferimento preciso per un vasto settore dell’elettorato. Il secondo elemento in ordine di importanza è il ridimensionamento del movimento renziano, che io preferisco chiamare così piuttosto che “democratico”, vista la forte caratterizzazione personale impressa da Renzi al suo partito. Il PD resta pur sempre il partito di maggioranza, ma le prospettive non sono più rosee come un paio di anni fa. Il terzo risultato significativo della tornata elettorale è il ruolo complessivamente modesto del Centrodestra, capace di qualche guizzo qua e là, ma complessivamente incapace di migliorare in modo significativo le sue posizioni. In quest’ultimo settore l’attivismo di Salvini evidentemente non riesce a compensare la fuga o la nausea degli elettori che una volta amavano definirsi moderati. Nel nostro Paese ormai, al bipolarismo di una volta, tende a sostituirsi una forma, seppure imperfetta, di tripolarismo ed in questo contesto il centrodestra sembra destinato ad occupare la terza posizione.
Per il resto che cosa può dirsi? Auguri al M5S, che sarà messo alla prova e che sarà costretto a dare finalmente il meglio di se stesso. “Qui si parrà la tua nobilitate”, verrebbe voglia di dire, perché amministrare grandi città come Roma e Torino potrebbe risultare difficoltoso per un partito-movimento che ancora non dispone di una vera classe dirigente e che finora è vissuto sotto l’ombra di Grillo e di Casaleggio.
Quanto agli elettori, essi hanno sempre ragione, come i clienti, e quindi le loro decisioni possono essere discutibili ma vanno sempre rispettate. Io mi auguro che essi abbiano votato bene e che non debbano pentirsi. Personalmente ho qualche perplessità, perché i Grillini, a parte la loro personale onestà, non hanno molto da offrire. Ritengo che con loro avremo un po’ di trasparenza in più, ma avremo anche demagogia in più, improvvisazione in più e una gestione del denaro pubblico  più allegra, con la loro pretesa di dare tutto a tutti (vedi reddito di cittadinanza). Avremo qualche ossessione ambientalista in più ed avremo anche meno sicurezza in giro, vista la loro considerazione sacrale dei diritti degli abitanti del pianeta terra e dell’universo intero. Avremo anche più immigrati, più profughi, più clandestini, dal momento che essi si gloriano di aver fatto abolire il reato di immigrazione clandestina e da questo punto di vista non sono secondi al trio Renzi-Alfano-Boldrini. E’ importante che chi li ha votati abbia messo in conto anche questo, cosa di cui sono convinto, dal momento che gli Italiani  una volta erano un popolo di santi, poeti, navigatori, mentre adesso sono anche un popolo di salvatori, cosa di cui molti vanno fieri, giustamente.
Un’ultima considerazione sulle elezioni a Crotone, dove ha vinto il candidato indipendente Ugo Pugliese. Non lo conosco personalmente, ma mi dicono trattarsi di persona perbene, seppure con l’unico neo di essere sotto l’ala protettrice di Enzo Sculco e del suo partito "I Democratici", che avrebbe più l’apparenza di un clan politico che di un movimento politico. Comunque, a parte i suoi eventuali, personali meriti, Ugo Pugliese non poteva e non può  in ogni caso essere peggio dell’altro candidato espressione del Partito Democratico. Basta questo ed è tutto dire. 

giovedì 16 giugno 2016

C’era una volta la legge



E’ ormai risaputo: nelle periferie di molte città europee la legge non viene più applicata. In alcuni quartieri di Bruxelles la polizia addirittura evita di entrare e, le poche volte che lo fa, prende tutte le precauzioni possibili ed agisce come in territorio nemico. In Italia gli accampamenti ROM sono ormai considerati zona franca. In essi si può impunemente accumulare droga da spacciare, conservare merce rubata, auto di lusso rubate, il tutto quasi alla luce del sole e senza che nessuno intervenga.
Interi palazzi nelle periferie di Milano sono occupati abusivamente da gente delle più varie etnie, giustamente convinta di farla franca e di poter godere a lungo dell’impunità in questo paese di Bengodi  in cui si è ormai trasformato il nostro Paese. Si aggiunga che gruppi criminali favoriscono queste occupazioni  e anzi ci speculano, vendendo strani permessi di occupazione e quindi arricchendosi.
 A Roma, a Venezia ed in quasi tutte le località turistiche venditori abusivi occupano in maniera selvaggia i marciapiedi, vendendo merce rubata o merce taroccata, nell’indifferenza totale degli agenti delle varie polizie che fanno finta di non vedere o forse hanno ricevuto disposizioni in tal senso.
In tutte le ore della giornata molte strade delle nostre città diventano delle latrine a cielo aperto: baldi giovanotti provenienti da ogni parte del mondo urinano e defecano a loro piacimento. Già molti anni fa Oriana Fallaci lamentava che a Firenze gli addetti alla nettezza urbana  ogni mattina dovevano raccogliere le feci accumulate davanti alle porte di Ghiberti del Battistero. Poi, ogni tanto, qualche vigile volenteroso si ricorda che è ancora proibito in Italia fare i propri bisogni in pubblico, ma c’è sempre qualche giudice comprensivo, umanitario (specialità tipicamente italiana) che giustifica tutto in nome del multiculturalismo e della tolleranza.
In molte scuole italiane esporre il Crocifisso o fare il presepe a Natale è diventato un problema e comporta qualche rischio, non tanto per le richieste di qualche mamma musulmana, quanto perché qualche Preside cretino e ignorante (e nella scuola italiana dell’ormai regime democratico  e renziano non mancano), per evitare rogne crede di prevenire i desideri dei musulmani.
Ormai i profughi, o sedicenti tali, ospitati a centinaia di migliaia nei nostri alberghi a spese nostre, sanno che in questo paese dei balocchi è tutto permesso e quindi ci insultano, ci spernacchiano, buttano il cibo nei cassonetti quando non è di loro gradimento, occupano le strade, non pagano biglietti sui mezzi pubblici e talvolta aggrediscono le forze dell’ordine o i semplici passanti. Il tutto in nome di vecchie leggi sull’accoglienza, nate quando i profughi erano poche decine all’anno e chiaramente inadeguate ora che l’alluvione ci sommerge.
I furti e le rapine, gli appartamenti saccheggiati ormai non si contano più. Mi dicono che tra un paio di giorni agli Europei di Francia ci sarà Albania- Romania. Forse solo allora, per un paio d’ore i nostri appartamenti potranno stare tranquilli.
Perfino in Inghilterra, in quella che una volta era la civilissima Inghilterra del Common law e dell’Habeas corpus, in interi quartieri prevalentemente occupati da immigrati di religione musulmana viene tranquillamente applicata la Sharia, con il tacito assenso delle autorità che evidentemente si sono rassegnate ed hanno ormai rinunziato ad applicare la legge.
Che fare in queste condizioni? Possiamo richiuderci in un fortino trasformando i nostri residui spazi di libertà come in tanti Fort Alamo decisi a resistere? Certo, possiamo fare ben poco, in attesa che passi la tempesta, se mai passerà, ma qualche gesto  significativo e simbolico possiamo farlo. Da tempo  lascio  sventolare ad un angolo del mio balcone un vecchio tricolore, che avevo esposto per la banale ricorrenza di una partita della nazionale di calcio. Quel tricolore continuerà a sventolare e testimonierà che quell’angolo di balcone,  quella casa costituiscono ancora  una piccola parte di una  più grande parte che una volta era l’Italia. Forse un giorno vi aggiungerò anche un cartello con il seguente avviso: Questa casa fa parte dell’Italia ed in essa si applicano le leggi italiane, non ancora la Sharia.

lunedì 13 giugno 2016

Io e Mohammed


Mi è capitato qualche mese fa di fare un lungo viaggio in pullman e di avere come vicino di posto un musulmano. L’avevo un po’ intuito dal suo abbigliamento, ma ne ebbi la conferma quando gli vidi tirar fuori un libro in lingua araba. Si trattava di un signore gentile e disponibile, che non ebbe difficoltà a rispondere ad una mia domanda iniziale  ed a raccontarmi poi tutto di se stesso in un italiano abbastanza fluente. Seppi così che il libro che stava leggendo era il Corano, che si chiamava Mohammed, che aveva 30 anni anche se ne dimostrava di più, che era di origine siriana, che era venuto in Italia per frequentare l’Università nella facoltà di Medicina.
Il viaggio era lungo e quindi l’evidente voglia di parlare di Mohammed, lungi dall’infastidirmi, mi coinvolse in un colloquio che trovavo abbastanza interessante. Si parlò un po’ di tutto, dell’Occidente, dell’Islam, di terrorismo, di cultura. Mohammed ci tenne a farmi sapere che il primo, vero ospedale del mondo a praticare l’anestesia  fu fondato a Damasco nel 709; che il primo grande chirurgo dell’antichità fu l’arabo persiano Rhazes, autore di un trattato in 20 volumi, al quale si ispirò poi tutta la medicina occidentale del Medioevo; che gli Arabi avevano inventato lo zero (sifr), che Greci e Romani non avevano intuito; che i filosofi arabi Avicenna ed Averroè avevano consentito la sopravvivenza di Aristotele e un po’ di tutta la filosofia greca durante il Medioevo.
Mi limitavo ad ascoltare, replicando di rado, anche perché alcune di quelle notizie mi erano sconosciute e mi incuriosivano, mentre altre erano di dominio pubblico e quindi abbastanza scontate. Alla fine del viaggio, ci salutammo con particolare intensità e Mohammed,  entusiasta della mia conoscenza  ed incline ad un’esuberante cordialità, tipica degli Arabi quando vogliono essere cordiali, volle anche offrirmi il caffè prima del commiato.
Mi è capitato in seguito di pensare talvolta a Mohammed, alla sua cordialità, al suo ingenuo entusiasmo nel difendere i valori dell’Islam con una passione di cui io forse non sarei stato capace, se avessi dovuto difendere i valori   dell’ Occidente cristiano. Ho ripensato a Mohammed, ho ripensato alla sua strenua difesa della “superiore” cultura dell’Islam anche l’altro giorno, quando mi sono imbattuto nella lettura di questo episodio, che non so se vero o inventato, ma che non ho difficoltà a ritenere verisimile.
Anno 640 dC. Nella loro impetuosa conquista i Musulmani, comandati dal generale Amr, conquistano l’Egitto. Amr è analfabeta e conosce solo il Corano a memoria. Ad Alessandria trova la famosa biblioteca con migliaia e migliaia di volumi ed è esterrefatto, perché non ha mai visto nulla di simile in vita sua. Chiede consiglio sul da farsi al califfo Omar, che dalla Mecca così gli risponde: “Se codesti libri concordano con quello del Profeta, sono superflui, e quindi è inutile conservarli. Se non concordano, sono dannosi, e quindi è necessario distruggerli”.

sabato 11 giugno 2016

Sono tutti miei fratelli




Sotto qualunque cielo, in qualunque parte del pianeta Terra, siamo tutti nati  dal ventre di una donna. Bianchi, neri, gialli: non c’è differenza, perché tutti siamo venuti alla luce nello stesso modo e tutti siamo accomunati da un unico destino di sofferenza e di morte. Per questo, anche per questo, per il fatto di essere partecipi della stessa condizione umana io considero fratelli tutti i miei simili. Considero mio fratello o mia sorella l’Indio che vive nella foresta dell’Amazzonia, il pescatore che vive nelle isole Fiji, il beduino che vive nel deserto del Sahara, la prostituta che di notte batte i marciapiedi di Buenos Aires o di Mosca.
Ma, è inutile nasconderlo, il mio affetto nei loro confronti non si rivolge verso tutti nello stesso modo. Verso le persone lontane e che appartengono ad un mondo da me solo immaginato la mia simpatia umana ha un che di astratto e di teorico.
Mi coinvolge emotivamente molto di più  la signora che vive sola, che vedo in difficoltà con una serie di buste e  pacchetti mentre si trova in ascensore e che alla fine mi ringrazia con un sorriso, dopo che l’ho aiutata a riporre le buste davanti alla sua porta. Sento di considerare più che un fratello il pensionato, che so essere gravemente malato e che pure, nella scelta delle cure, deve fare i conti con la sua magra pensione. Mi colpisce molto di più la disperazione di un giovane che non riesce a trovare un lavoro e che so arrabattarsi in attività di ripiego, quando non umilianti. Sento palpitare il calore della vita soprattutto nella giovane donna impazzita d’amore e che alla fine ricorre alla droga, quando si accorge che il suo amore era soltanto un’illusione.
Ora i detentori del potere ci impongono di pensare che un atteggiamento del genere non va bene e che anzi quelli che vengono da lontano sono degni della nostra attenzione più di quelli che ci vivono accanto. Ne discende che il nostro Paese ha deciso di farsi carico delle sofferenze dell'universo mondo  e  invita tutti i disperati ed i diseredati a venire da noi. Con stupore misto a rassegnazione assistiamo all’invasione di profughi che fuggono dalle guerre, invece di combattere, e di clandestini che semplicemente cercano di sfuggire alla povertà, insieme a tanti altri non chiaramente definibili e dai contorni oscuri e minacciosi.
A tutti costoro il nostro Paese riserva un’accoglienza disordinata, tumultuosa e comunque molto onerosa, perché, dicono sempre i detentori del potere, questi sono i nostri nuovi “fratelli” e non possiamo dimenticarli.
Sarà. Sarà che questi sono i nostri nuovi “fratelli”, anche se talvolta sono arroganti, ci disprezzano, ci minacciano e qualche volta ci massacrano. Ma per me i primi, veri fratelli sono gli altri che ho elencato sopra e che ci vivono accanto: la signora che mi ringrazia con un sorriso, il vecchio pensionato che deve far quadrare i conti, il giovane disperato in cerca di un lavoro, la giovane donna impazzita d’amore. 

martedì 7 giugno 2016

Il senso della vita


C’era una volta Aristotele, del quale, a torto, i seguaci dello Scientismo sostenevano che avesse una concezione fantasiosa e nel complesso approssimativa della realtà. Lo stesso si pensò nei secoli successivi a proposito dei seguaci di Aristotele, da Tommaso d’Aquino fino ai neoaristotelici del Seicento. Questo atteggiamento critico giunse a definitiva maturazione con Galileo Galilei, il quale vedeva nell’universo un ordine matematico che rappresentava, secondo lui, la prova più evidente, immediata ed intuitiva dell’esistenza di un Dio creatore. Nell’attribuire alla Scienza un criterio fondamentale di interpretazione della realtà concordarono poi Isaac Newton, gli Illuministi, i Positivisti e, in tempi più recenti, pur con alcune limitazioni, Karl Popper e tutti coloro che si richiamano, più o meno direttamente, al suo insegnamento.
Oggi possiamo tranquillamente sostenere che questa tendenza ad una concezione meccanicistica e scientista della realtà è arrivata ad un livello semplicemente impensabile fino a qualche anno fa e lo dimostra la propensione inarrestabile ad attribuire, anche nei nomi, carattere di scientificità ad ogni forma di conoscenza riconducibile all’attività umana. A volte anche con esiti francamente umoristici. La vecchia e cara Psicologia di una volta oggi si chiama Scienze psicologiche, la Sociologia è diventa Scienze sociali e così via in tanti altri ambiti. Con l’ultima riforma della Scuola l’Educazione fisica è diventata Scienze motorie e sportive, mentre la vecchia Geografia si chiama ora anche Scienze della Terra. Pare che qualunque branca del sapere, se non è supportata da un nome che faccia riferimento alla Scienza, diventa qualcosa di secondario, di trascurabile, di indegno. Ma è sufficiente aggiungere al nome l’appellativo di “Scienza” per far diventare tale una branca del sapere che tale non è? E fino a che punto è giustificabile questa tendenza?
Sia ben chiaro: nessuno vuol disconoscere il fatto che la Scienza costituisca un elemento interpretativo indispensabile ed imprescindibile in molti settori della conoscenza. La Fisica, la Chimica, la Biologia, l’Astronomia, la Tecnica sarebbero un niente senza la Scienza. Senza questo presupposto, l’Astronomia sarebbe ancora l’Astrologia, con cui ancora oggi gli analfabeti di ritorno cercano di trovare conforto alle paure e alle disgrazie della vita,  e la Chimica si confonderebbe ancora con l’Alchimia, con cui i vecchi ciarlatani andavano alla ricerca della pietra filosofale che doveva tramutare ogni metallo in oro. Ovviamente nessuna persona dotata di un minimo di buon senso può condividere tali posizioni. Ma, e bisogna pur dirlo, la Scienza può veramente spiegare tutto?
L’Economia, quella che una volta si chiamava semplicemente Economia e che oggi si chiama Scienze economiche, rivendicando pretese scientifiche, non è riuscita, pur con tutte le sue pretese, a prevedere e ancor più a risolvere le tremenda crisi economica che da circa otto anni sta sconvolgendo la vita del pianeta Terra. Questo perché l’Economia, pur con tutte le sue pretese di Scientificità, in realtà non è una Scienza. Se lo fosse stata, bastava applicare qualche formula: i professori universitari di Economia sarebbero tutti ricchi e i grandi problemi economici che ci affliggono sarebbero stati già risolti. E invece, purtroppo, non è così.
Veramente si può ritenere che ogni evento, ogni fenomeno sia riconducibile a formule, a diagrammi, istogrammi, a parametri ed algoritmi? Quale formula può spiegare e dare un’idea della bellezza di un tramonto? Quale formula o quale modificazione ghiandolare può dare l’idea dell’inizio o della fine di un amore? E quale scienza può spiegare il senso e il mistero della nostra vita?
Mi piace ricordare che già Eugenio Montale diceva:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba  e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

E, in maniera ancora più suggestiva e drammatica, il pastore errante di Giacomo Leopardi si chiedeva:

Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.

A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?