domenica 21 giugno 2015

Del principe e delle lettere. 200 anni dopo.

Gli scrittori in livrea da cameriere

Nel '68 erano ribelli. Oggi sono servi della peggiore editoria, sempre a caccia di fenomeni da baraccone

«A h, lei è senz'altro un autore di vaglia, peccato che non abbia alcuna visibilità mediatica!», mi ha detto l'altro giorno al telefono un funzionario di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani.







Mi ha liquidato in cinque minuti, fornendomi delle spiegazioni a dir poco stupefacenti. 
«Oggi l'immagine è tutto, lei capisce, vero? Se per ipotesi – ma è soltanto un'ipotesi, badi bene – noi decidessimo di prenderla in considerazione, sarebbe necessario lavorare sulla sua immagine pubblica. E dunque a titolo puramente informativo (non si monti la testa, neh?), mi dica se lei sa cantare oppure raccontare barzellette. Se ha frequentato qualche scuola di scrittura creativa, o quantomeno un corso di dizione per diventare un buon performer. Oggi la gente non vuole leggere, oggi la gente vuole soltanto applaudire, applaudire il giullare di turno. Uhm… vedo che lei non risponde alle mie domande, è forse timido? Provi almeno a canticchiarmi qualcosa al telefono, dopotutto noi editor dobbiamo saper ascoltare e valutare il canto dei nostri polli visto e considerato che l'unica cosa che conta non è saper scrivere, bensì recitare la parte di scrittori in quel reality di massa che è diventata la letteratura, mi sono spiegato? Oddio, magari tutto ciò farà a pugni con quella fottuta idea di letteratura che lei ha ereditato dal Sessantotto, però si deve rassegnare, sa, ormai i signori sessantottini sono tutti a libro paga da noi. 
«Ex brigatisti con i capelli bianchi, suffragette d'antan e nuove chieriche del femminismo prêt-à-porter, bombaroli e anarchici assortiti, ebbene, sono tutti qua a trafficare nei nostri uffici con tanto di partita Iva, eleganti nelle loro livree di servi. Tutti qua che s'industriano febbrilmente a pubblicare i loro compitini mettendo a buon frutto la rabbia di ieri, i loro sogni di cartapesta diventati incubi senili. E dunque per tornare a noi due, caro amico, me la fa o no una bella cantatina al telefono? Così, su due piedi, tanto per saggiare il terreno. Tanto per farmi un'idea, su, mi stupisca con qualche coup de théâtre”.
Di fronte a quell'assurda pretesa, non mi restava altra scelta: o dare retta a quell'idiota umiliando per sempre la mia dignità, oppure reagire con estrema brutalità. 
Perciò mi sono detto, adesso te lo do io il coup de théâtre! Quindi ho impugnato per bene la cornetta telefonica e me la sono piazzata all'altezza del buco del culo, dopo di che ho provveduto a scaricarci dentro una scoreggia così tremenda da far ammutolire il mio interlocutore. Credo che abbia fatto un salto sulla sedia, quel coglione, di certo non si aspettava una simile fucilata sonora che gli ha intontito le orecchie.
Mentre stavo riattaccando, l'ho sentito che farfugliava al telefono: «Magnifico, semplicemente magnifico, è un esempio perfetto di fecalizzazione culturale! E siccome noi editori pubblichiamo qualsiasi merdaccia purché sia vendibile, che ne direbbe di venire a Milano a firmare il suo contratto?”.
***
Letta giorni fa su la Repubblica un'intervista al signor Antonio Iosa, gambizzato dalle Br a Milano il primo aprile del 1980. 
«Il terrorista mi puntò la pistola alla testa. Lo implorai di risparmiarmi, ché avevo moglie e figli piccoli. Mi rispose: inginocchiati, stronzo! Poi mi sparò alle gambe… Dopo l'agguato mi sono sentito umiliato, come un uomo che è accusato ingiustamente. Per questo m'indigno quando sento Erri De Luca minimizzare in tv gli anni di piombo, o quel Cesare Battisti che rilascia interviste dalla spiaggia in Brasile».
Dopo simili parole di Iosa, ho chiuso il giornale e mi sono chiesto: tutte quelle pistole impugnate nel Sessantotto da certi fanatici, perché mai quei signori – che oggi si travestono da scrittori estremi – non le impugnano di nuovo imitando il gesto estremo di Hemingway? Tirarsi una bella pistolettata in bocca o alle cervella – alla Hemingway, ripeto – non sarebbe poi una cattiva idea, anzi, rappresenterebbe un modo onorevole per uscire finalmente di scena a testa alta. 
E ho detto uscire di scena a ragion veduta. Perché ciò che hanno combinato quei signori una quarantina di anni fa in fin dei conti è ben poca cosa (un prurito di acne giovanile) in confronto a quella interminabile e stucchevole commedia che hanno inscenato dopo la fine del Sessantotto. E che continuano ancora oggi a recitare sui giornali e in televisione, impavidi e osceni, alimentando un'incredibile orgia di vanità piccolo borghese.