lunedì 17 marzo 2014

Il mistero dell'arte


Sosteneva Michelangelo che la scultura era soltanto “arte del levare”, nel senso che  l’artista si limitava a togliere il di più che si trovava nel marmo grezzo, fino ad arrivare alla statua già nascosta nella materia. Se ne deduce pertanto che il suo Mosè esisteva ab aeterno e che   era lì ad attendere che un artista si decidesse a metterlo alla luce e rivelarlo agli altri.

A voler portare alle estreme conseguenze un simile discorso, penso che la stessa cosa si possa dire, anche in altri ambiti, di tutti i capolavori che nel corso dei millenni hanno affascinato l’umanità. Mi piace pensare, ad esempio, che “L’infinito” di Giacomo Leopardi esistesse già al primo apparire degli esseri umani sulla scena del mondo e che quel genio immenso, quando nel 1819 si decise a comporlo, si sia limitato in realtà a togliere, nel groviglio inestricabile di tutte le parole, quelle che apparivano superflue ed inutili, fino ad arrivare alla scoperta del suo idillio.

Forse un discorso del genere si può fare anche per il secondo goal di Maradona in Argentina-Inghilterra ai Mondiali del 1986, come lo si può fare per un film come La dolce vita di Federico Fellini, o per un romanzo come Anna Karenina di Lev Tolstoj. 

Certo il mistero dell’arte è a volte insondabile e non esclude che i gusti possano essere relativi e soggettivi. Ma ritengo che almeno in ambito musicale la teoria possa avere una sua plausibilità. Pensiamo infatti ad un capolavoro assoluto, quale, per opinione comune, è il brano Lacrimosa nel Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. La successione delle note, delle pause, delle battute, appare così naturale e cogente da far pensare che al momento della composizione, se anche Mozart avesse voluto cambiare una sola nota, non avrebbe potuto. Perché quel brano esisteva già, era preesistente all’autore e quest’ultimo si limitò a togliere il velo che lo copriva ed a farcelo conoscere nella sua perfezione assoluta.

Ma, sia ben chiaro, questo discorso è applicabile solo ai capolavori, non a tutto ciò che si produce, specie là dove si avverte il sapore di sabbia e di ruggine che emana dalla mancanza di ispirazione. Penso che valga per il teatro di Sakespeare, non certo per quello di Dario Fo, per le canzoni dei Beatles e di Fabrizio De Andrè, non per quelle di Roberto Vecchioni o di Jovanotti, per i romanzi di Gustave Flaubert non per quelli di Roberto Saviano.

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