giovedì 11 aprile 2013

Una promessa mantenuta (Racconto) di Alfredo Giglio



Nel primo pomeriggio di un giorno caldo e luminoso di metà Giugno, Corrado Della Torre,  con la moglie e la figlia di cinque anni, si recò a far visita al suo amico Corrado Malaguzzi, che abitava all’altro capo della città. Da tempo le due famiglie intrattenevano cordiali rapporti, alimentati e favoriti dal primo, che a stento riusciva a dissimulare una sua segreta attrazione per la signora Laura Malaguzzi. Attrazione  di cui sua moglie Anna si era talvolta accorta, ma che la stessa tollerava con una certa indulgenza, considerandola innocente e tutto sommato innocua. Di nulla invece si era accorto il Corrado Malaguzzi, che con il suo atteggiamento torpido e bonario era convinto che i continui complimenti e le continue attenzioni dell’amico nei confronti di sua moglie Laura  fossero del tutto spontanei e disinteressati.  
I Della Torre, giunti a destinazione, notarono un insolito tramestio nei pressi dell’abitazione: i loro amici erano pronti ad una puntatina in Sila, per far conoscere le bellezze della montagna calabrese a due suore, una vestita di bianco, sulla trentina, bella, dalla carnagione chiara e dal portamento eretto, l’altra vestita di nero, dall’età incerta ma chiaramente  anziana, piuttosto corpulenta, anonima e dalla pelle untuosa ed olivastra. Furono fatte le presentazioni:la suora giovane era sorella della signora Malaguzzi, mentre la suora anziana era la sua superiora. Il Della Torre ignorava l’esistenza di quella giovane consorella, di cui non aveva mai sentito parlare, ma non poté fare a meno di notare che rassomigliava incredibilmente alla signora Laura, di cui sembrava addirittura gemella.  Dopo le presentazioni, Corrado Della Torre venne  invitato ad unirsi alla comitiva e non se lo fece ripetere due volte, pur fingendo una preventiva, rapida consultazione con la moglie.
Sulla sua auto prese posto la suora vestita di bianco, che si sistemò sul sedile posteriore di fianco alla figlia, mentre la suora vestita di nero si sistemò su quella dell’amico, accanto ai suoi due figli. Le due auto procedettero tranquillamente lungo i tornanti della Sila e, dopo circa un’ora, giunsero a Camigliatello, dove quel giorno erano convenuti tanti  turisti. I negozi del corso principale  erano stati letteralmente presi d’assalto e sui  marciapiedi era quasi impossibile camminare, perché la gente procedeva lentamente, accalcandosi, come in una fiera. Le due auto  dovettero girare a lungo per trovare un parcheggio e solo dopo molte ricerche fu trovato un posticino quasi fuori paese e in una traversa secondaria.
Il gruppo si spezzò subito in due: la signora Della Torre, con la figlia, si unì all’amica, al marito dell’amica, ai suoi due figli ed alla suora vestita di nero; seguivano a breve distanza  la suora vestita di bianco e Corrado Della Torre, curioso di apprendere qualcosa intorno al  mondo per lui misterioso e  sconosciuto dei monasteri. Chiese  subito  alla suora di ripetere il suo nome e, nel mentre poneva la domanda, notò  che la sua  figura era distinta e ben curata,  con la pelle che appariva liscia come la seta e che, a toccarla, si sarebbe certamente rivelata morbida come il velluto. Lei  di rimando:
-Il mio vero nome è Leotelma, ma nel nostro ordine non è consentito mantenere il nome anagrafico e così ho scelto il nome di suor Ines.
Corrado ricordò che qualche anno prima, in un casino, aveva conosciuto una prostituta con lo stesso nome e il ricordo lo fece rimanere perplesso.
-Non mi sembra un nome adatto ad una suora, replicò.
-Perché?, fece lei.
Corrado le rivelò il motivo e si accorse che la giovane suora era arrossita leggermente.
Procedevano nella calca sotto il sole martellante e lui cercava di proteggerla dagli spintoni più o meno casuali, standole dietro e cercando di guidarla. A volte la teneva leggermente in vita, a volte si limitava a sfiorarla con la mano, mentre tutta quella gente, intorno a loro,  andava di fretta, in un via vai frenetico ed a tratti tumultuoso.
Lei prese  a raccontargli della sua vita:era stata novizia all’età di venti anni, era rimasta  per sette anni nel convento, infine  il Vescovo l’aveva messa a capo della segreteria amministrativa della diocesi, il che le aveva consentito di mettere a frutto il suo vecchio diploma di ragioniera. Aggiunse che  il successivo sette luglio  avrebbe compiuto trentadue anni. Ines gli parlò poi della diocesi, delle sue ricchezze, delle sue rendite, della manomorta ecclesiastica. Corrado le chiese dei particolari e  arrivò perfino a chiederle del costo di una Messa per le anime dei defunti. Lei  precisò che il costo dipendeva dal tipo di Messa: semplice, solenne, cantata,  e lui non poté fare a meno di pensare e di dire , per quella strana associazione di idee che sempre gli faceva mescolare il sacro con il profano, che anche nei casini il costo di una prestazione era triplice: semplice, doppia, nottata. Al che Ines arrossì ancora una volta e questa volta in modo violento.
Nel procedere su quel marciapiede tanto affollato, avevano perso completamente i contatti con il resto del gruppo. Però non si preoccupavano, perché l’appuntamento alle auto, per il rientro a casa, era  fissato per le 20,30 e  quindi avevano ancora quasi due ore a disposizione. Suor Ines tenne a precisare che era venuta in Calabria con la sua superiora, non per una vacanza, ma per tenere un corso di catechismo a dei ragazzi che dovevano prepararsi alla Prima Comunione. Nel mentre  procedevano nella ressa e cercavano di dialogare nel vocio confuso degli estranei, capitò una volta che  le mani di Corrado finissero  col premere decisamente sui fianchi morbidi della suora, la quale, con delicatezza  ma  con altrettanta decisione e prontezza, si preoccupò di toglierle e di allontanarle da sé.
Erano entrambi accaldati e si fermarono ad uno zampillo d’acqua fresca per bere qualche sorso. Ines, dopo essersi dissetata, si tolse gli occhiali scuri, per pulire i vetri vistosamente appannati. Lui notò che la suora aveva gli occhi azzurri e le sopraciglia sottilissime. Notò le sue mani curate ed affusolate ed un nasino, che dava armonia all’ovale del viso, di carnagione chiara: decisamente lei era una donna bellissima, pur con i  capelli lunghi e biondi, di cui si intravedeva solo qualche filo, ben nascosti in quella specie di copricapo tipico delle suore. Le sue labbra, rosse e delicate, si movevano dolcemente ad accompagnare il suono delle parole e a lui venne voglia di baciarle, per assaporarne la fragranza. Una volta si protese istintivamente verso di lei, quasi senza accorgersene, e si fermò appena in tempo, davanti ai suoi occhi dilatati dallo spavento. Poi chiese a suor Ines il permesso di  farle una domanda, alla quale, se voleva, poteva non rispondere. Avutone il consenso,:
-Mi dica, sorella, quanti ragazzi ha fatto impazzire d’amore, prima di farsi suora?
Lei sfoderò un sorriso luminoso, mostrando una fila di denti  perfetti e candidi e rispose, dandogli del tu:
-Ma ti sembra questa una domanda da fare ad una suora? Io sono entrata in convento a diciotto anni e non ho fatto impazzire nessuno. Il mio amore è unicamente rivolto al Signore e a tutte le creature bisognose…
- Io sono una creatura bisognosa d’amore, replicò Corrado, e morire con la voglia di Ines, anzi di Leotelma, mi deprime e mi mortifica.
Lei abbassò la testa e, a voce bassa,:
-Ti prego, non dire queste cose, che mortificano anche me. E’ peccato approfittare di una suora e le tue parole mi sembrano  una provocazione gratuita ed inopportuna.
Corrado divenne silenzioso e, approfittando della confusione provocata dalla  folla che spingeva da ogni lato, le poggiò con decisione una mano sul fianco e  la attirò verso di sé. Ines avvertì chiaramente il senso di quella violenza che Corrado stava cercando di esercitare nei suoi confronti e si ribellò:
-Non mi toccare, te ne prego. E’ tutto molto imbarazzante e, se ci dovesse osservare qualcuno, la cosa diventerebbe per me del tutto intollerabile…E poi  sono una donna anche io, come le altre. Se mi tocchi, potrei fare peccato, almeno di desiderio, e non voglio… ti scongiuro.
Queste parole risuonarono all’orecchio di lui come un’ammissione di resa ed egli diventò baldanzoso e sicuro. Si sentiva eccitato. Si pose alle spalle di Ines, tenendole le mani sui fianchi, e prese ad oscillare  sul  suo morbido fondoschiena. Lei trasalì, diventando sempre più rossa in volto ed impacciata nei movimenti. D’un tratto lei si scansò di lato, per sfuggire a quella morsa che la vedeva soccombere, ma  lui ne approfittò per passarle la mano sui glutei. Corrado poi la prese sottobraccio, ma lei, quasi implorandolo:
-Non mi toccare, ti prego. Una suora non può essere presa sottobraccio da un uomo, perché è cosa sconveniente.
Lui, giovane di trentaquattro anni, era in preda ad una evidente agitazione. Si trovava in una situazione incredibile e Ines gli faceva ribollire il sangue. Poi, quasi singhiozzando, soggiunse:
-Di me, innamorato pazzo di Leotelma, alla quale chiederei in ginocchio solo un bacio, prima di chiudere gli occhi, non ti importa niente? A te importa solo di salvare la faccia e di stare in pace con la  tua coscienza di buona suora cattolica, apostolica, romana. Io ho voglia di un tuo bacio, ma, siccome è cosa impossibile, morirò con il desiderio e tu resterai soltanto un meraviglioso sogno… nel cassetto!
La suora taceva, ma  lasciava che il giovane le camminasse dietro, tenendola per la vita,  e lo lasciò fare  anche quando lui  di tanto in tanto incominciò ad accostarsi a lei, per farle sentire il calore del suo corpo ormai preda di un desiderio incontrollabile. Ma quando la manovra incominciò a diventare più frequente, Ines reagì:
-Ti prego, diceva, non mi devi toccare continuamente, perché così mi togli il sonno e mi costringi a peccare. Poi sarei costretta a confessarmi  e c’è il rischio che il mio direttore spirituale non mi dia nemmeno l’assoluzione, dal momento che da più di un anno mi circuisce con insistenza, mentre io resisto con ogni mezzo, riportandone soltanto dolore, umiliazione e vergogna. Ti prego di scusarmi per lo sfogo e di dimenticare ciò che ti ho appena detto.
Fra di loro calò il silenzio. Procedevano fra la gente, ognuno per conto proprio, tanto che Corrado si ritrovò un po’ più avanti a lei e spesso  dovette attenderla, fermandosi. Ad un certo punto lei si sentì stanca e, raggiunto Corrado, gli si attaccò al braccio sinistro, dicendogli:
-Non mi lasciare indietro. Se ti fa piacere ti tengo io sottobraccio, come se tu fossi un mio fratello o un mio parente.
-Certo, rispose lui, mi fa piacere, anche se muoio dalla voglia di abbracciarti e baciarti.
-Questo non è possibile, replicò la donna, anche perché siamo in una pubblica via e poi domani pomeriggio partirò e forse non ci rivedremo mai più.
Corrado concluse:
-Questo è il destino di noi poveri mortali:vivere di sogni che non si realizzeranno  e conservare nel cuore solo i ricordi. Ma io, di te, quale ricordo conserverò nel cuore? Nulla, nemmeno una foto, nemmeno una carezza, nemmeno il profumo soave di un bacio.
Suor Ines sorrise compiaciuta di quelle parole, che la riportavano ai sentimenti più veri, all’amore, custode geloso di palpiti nascosti, di sospiri soffocati nella disperazione di un vivere amorfo, senz’anima, senza emozioni, senza calore. Si sentiva come un fiore, che sbocciava tardi sotto il sole di primavera, per aprirsi alla vita ed inondare del suo profumo l’aria circostante. Cominciò a stringere quel braccio, con forza, con trepidazione e passione, per gustarne i muscoli ed il tepore della pelle.
Corrado avvertì che qualcosa, come un miracolo,  stava nascendo in quella meravigliosa creatura, vestita di bianco come una sposa. A più riprese le avvolse il fianco con il suo braccio vigoroso, per farlo poi ricadere lentamente, mentre lei si aggrappava con sempre più forza, stringendolo in una morsa, come per ribadire che anche lei era  viva  e capace di slanci. Poi, vinta dalla ostinazione di lui, che pareva volesse spogliarla con gli occhi, nonché dalle sue suppliche perché gli lasciasse almeno un ricordo, gli promise che l’avrebbe ricordato nelle sue preghiere e che, siccome lo riteneva una persona speciale, gli avrebbe lasciato un piccolo ricordo, da custodire nel profondo del cuore.
La serata stava per finire. I due si avviarono lentamente verso le  auto,  mentre la folla non accennava a diradarsi. Il sole si era appena nascosto dietro i monti, ricoperti di pini secolari, quando i due scorsero gli altri che stavano arrivando in gruppo. Suor Ines, sollecitata da Corrado, si chinò per entrare nell’auto sportiva, che aveva solo due portiere, per prendere il suo posto dietro al guidatore. Lui ne approfittò  per affondare, nell’attimo in cui era china, il palmo della  mano destra nel suo vestiario multistrato e trasmetterle così il calore di un’ultima carezza.
Giunsero poi gli altri e  tutti ripresero nelle auto lo stesso posto dell’andata. Intanto si era fatto  buio e la cittadina si era illuminata di tante luci  al neon, dei più svariati colori, che diffondevano il loro chiarore sulle vetrine dei negozi e sulla strada ancora affollata. 
Partirono e dopo pochi minuti si ritrovarono immersi nel buio della notte. La macchina di Corrado Malaguzzi, che era meno veloce, faceva da battistrada. Dopo dieci minuti la bambina di Corrado Della Torre dormiva già profondamente, con la testa sul fianco di suor Ines, che da parte sua si era appoggiata al sedile del pilota, infilando furtivamente la mano sinistra fra lo schienale e la portiera.
Al buio, mentre la moglie Anna teneva gli occhi puntati sul nastro d’asfalto, la suora riuscì a passare la mano sotto la maglietta di cotone di Corrado Della Torre e a portarla, delicatamente, sulla mammella sinistra di lui, che non credeva quasi a quanto  stava accadendo. Sentiva che lei gli premeva sul muscolo pettorale e lo accarezzava con  passione, tanto che  lui non stava più nella pelle e dovette fare uno sforzo supplementare per riuscire a controllare la sua guida. Poi lei prese ad abbassare lentamente e dolcemente la sua mano. Suor Ines aveva mantenuto fede alla promessa appena fatta e quel ricordo l’avrebbe accompagnato per tutto il resto della vita, come un dono raro e prezioso, da tenere custodito nel profondo dell’anima.
          Quando le auto arrivarono a destinazione, la comitiva si sciolse. Davanti ad un lampione che illuminava la strada, si procedette agli ultimi saluti. Erano tutti stanchi e solo il  Corrado Malaguzzi, svegliatosi dal consueto torpore, sembrava avere ancora voglia di intrattenersi: si rivolse al suo amico con trasporto e lo ringraziò della compagnia, mentre tutti gli altri si scambiavano abbracci e baci. Poi il Della Torre si diresse verso la sua auto e, mentre si apprestava ad entrare, non poté fare a meno di riflettere:
-Siamo solo all’inizio ed il resto verrà da sé. Non potrà non venire, perché qui di Corradi ce ne saranno anche due, ma l’unico vero Corrado, l’unico con gli attributi, modestamente sono io.
 Alfredo Giglio


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