Un autunno di tanti anni fa mi ritrovavo
seduto sulla veranda del Bar Centrale. Molti del nostro gruppo erano già
partiti per andare a cercar fortuna fuori ed al paese eravamo rimasti in pochi:
giusto quelli che, come me, erano riusciti a trovare un lavoro tra le braccia
protettrici dello Stato e gli altri che non si decidevano a partire, in attesa
di tempi migliori.
Alcuni, all’interno, si accapigliavano
nell’ennesima partita di Terziglio, mentre io, distrattamente, osservavo
l’andirivieni delle poche persone nella piazza circostante.
Mi
venne incontro Franco Tribelli, che non vedevo da tanto tempo. Venne a
salutarmi, con affetto e con quel sorriso eternamente stampato sulle labbra,
che sembrava il sigillo della sua vita piena di vicende meravigliose, delle
quali egli, di tanto in tanto, mi rendeva partecipe.
Contenti di ritrovarci, dopo i convenevoli
di rito, rievocammo insieme alcuni episodi della nostra vita. Ricordammo con
piacere, in modo particolare, una incredibile mangiata di fichidindia che ci
aveva accomunati da ragazzi. Lui, più grande di me di qualche anno, mi aveva
trascinato di notte in un orto privato dove crescevano quelle meravigliose
piante spinose ricoperte di dolcissimi e saporitissimi frutti. Al chiarore
della luna piena, ne mangiammo per un paio d’ore, badando a non riempirci di
spine e scegliendo di preferenza quelle verdi, chiamate “napoletane”, che
trovavamo divinamente gustose. Il giorno dopo, purtroppo, ci colpì una
occlusione intestinale, che si risolse solo con un solenne clistere, prescritto
dal medico Mauro e praticatoci dall’infermiere don Agostino.
Franco mi raccontò poi gli ultimi
accadimenti della sua vita. Dopo la laurea in medicina si era stabilito a Torino,
dove si era fidanzato e dove aveva richiesto di essere incluso nelle
graduatorie del Servizio Sanitario Nazionale. L’assunzione però tardava ad
arrivare e qualcuno gli aveva suggerito di incrementare il punteggio in
graduatoria con qualche documento integrativo. Ad esempio la certificazione di
un qualche merito antifascista valeva ben dieci punti in più in graduatoria,
quasi quanto la laurea, e a lui era venuta una buona idea. Si era ricordato,
beh …si era ricordato, improvvisamente e quasi come in una folgorazione, che da
bambino, un qualche merito antifascista lui se l’era guadagnato.
Sempre più incuriosito, soprattutto per il
fatto che a me non risultava che dalle nostre parti ci fosse mai stata una
qualche forma di lotta antifascista o partigiana, lo invitai ad andare con
ordine ed a raccontarmi la vicenda che l’aveva coinvolto. E lui, da
straordinario narratore di se stesso, non si fece pregare, facendo ricorso al
meglio delle sue capacità fabulatorie.
Il 9 settembre del 1943 gli abitanti di
Scandale, che, come ogni mattina si stavano preparando al lavoro nei campi o
nelle botteghe artigiane, si accorsero con somma meraviglia che la strada
principale del paese era occupata da un gruppetto di soldati tedeschi,
preceduti da un’ autoblindo.
Scandale non si trovava su una grande via di
comunicazione e non ci volle molto a capire che con tutta probabilità quei
soldati, dall’aspetto tutt’altro che marziale, in realtà si erano sbandati e
cercavano solo di proseguire con ogni mezzo nella loro ritirata verso il nord.
Un soldato tedesco chiese qualcosa a gesti ad un contadino che si trovava a
passare, ma quest’ultimo, impaurito, spronò il suo mulo e sparì velocemente.
Altre persone, superata la diffidenza iniziale, si accostarono e capirono che i
soldati volevano solo, se possibile, comprare qualcosa da mangiare. Non ci fu
nessuna manifestazione di ostilità nei loro confronti. I soldati, una quindicina
in tutto, furono accompagnati ad un negozio, dove poterono rifornirsi del poco
che era possibile avere in quei tempi calamitosi.
Un codazzo di bambini incuriositi e quasi
divertiti li seguiva. I soldati si procurarono soprattutto del pane, molto
pane, ma un grosso problema nacque al momento di pagare. Uno di loro,
lentamente, poggiò la mano sulla tasca posteriore, quasi volesse prendere la
pistola e procurando un po’ di apprensione nei presenti. Invece si limitò a
prendere il portafogli e ne estrasse dei marchi tedeschi intonsi, nuovissimi,
che il bottegaio di Scandale non conosceva , perché non ne aveva mai visti
prima. Non li accettò, ma i Tedeschi non avevano altro
denaro e si rifiutarono di restituire quel cibo per loro preziosissimo. Ne
nacque una animata discussione che vide i Tedeschi andar via senza pagare e,
nel parapiglia che ne seguì, un bambino di sei anni, uno solo, lui, il bambino Franco
Tribelli, scagliò una pietra. La quale volteggiò nell’aria, roteò, seguì una
morbida parabola prima ascendente, poi discendente e ultimò la sua traiettoria
andando a posarsi, con tutta la forza di cui era capace, sui capelli biondi di
un soldato teutonico.
Il quale, colpito, prima sbandò leggermente,
facendosi sfuggire dalle mani un pane gelosamente custodito, poi si riprese
subito, raccattò il pane, si mise una mano sulla testa, da cui fuoriusciva
qualche goccia di sangue, e raggiunse velocemente i compagni in fuga.
Ora, a distanza di quasi trenta anni, Franco
ritornava al suo paese per chiedere al sindaco una certificazione di quella
sassata, di quel colpo ben assestato, che, pur nella sua modestia, era forse
stato il primo sintomo di una lunga serie di altri colpi, ben più poderosi, che
nell’arco di due anni avrebbero portato alla dissoluzione del grande Reich
tedesco. Franco concluse il suo racconto dicendomi che il giorno dopo sarebbe
stato in Comune e io, incuriosito, lo pregai di tenermi al corrente.
Ci rivedemmo qualche giorno dopo e, con un
cenno d’intesa, gli chiesi come era andata. Egli non mi rispose e con fare
solenne mi fece segno di pazientare un attimo. Mise mano ad una borsa, ne tirò
fuori con compiacimento un foglio, intestato Comune di Scandale, e me lo porse. Lo aprii con una curiosità che
mi divorava e potei leggere più o meno quanto segue:
Il
Sindaco, da informazioni assunte, certifica che in data 9 settembre 1943 il
bambino Franco Tribelli, nato il 9 dicembre 1936, all’età di anni 6 e mesi 11,
con intrepido coraggio si scagliava contro l’invasore tedesco, esternando il
suo smisurato amor di patria ed il suo smisurato amore per la libertà con il
lancio di oggetto contundente che provocava scompiglio nell’esercito
aggressore, determinandone una improvvisa fuga con conseguente liberazione
della comunità di Scandale. La popolazione tutta, memore, ringrazia.
Entrambi manifestammo un sorriso complice,
poi restituii il documento e ci abbracciammo per salutarci. Il giorno dopo il
mio amico sarebbe ritornato a Torino.
Oggi Franco è felicemente sposato, ha due figli e lavora come primario internista in una clinica di Torino del Servizio Sanitario Nazionale. Una volta andai pure a trovarlo nella clinica, solo per il piacere di rivederlo. Dovetti fare un po’ di anticamera, ma mi accolse con cordialità e si intrattenne con me a lungo, suscitando anche le proteste di qualche paziente in attesa. Era attorniato da un codazzo di giovani assistenti e si dava un certo tono. Ogni tanto ritorna al paese.
Oggi Franco è felicemente sposato, ha due figli e lavora come primario internista in una clinica di Torino del Servizio Sanitario Nazionale. Una volta andai pure a trovarlo nella clinica, solo per il piacere di rivederlo. Dovetti fare un po’ di anticamera, ma mi accolse con cordialità e si intrattenne con me a lungo, suscitando anche le proteste di qualche paziente in attesa. Era attorniato da un codazzo di giovani assistenti e si dava un certo tono. Ogni tanto ritorna al paese.
Ezio Scaramuzzino
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