mercoledì 13 febbraio 2013

L’eragrostis del signor Colombo(Racconto) di Piero Chiara














Piero Chiara (all'anagrafe Pierino Chiara; Luino, 23 marzo 1913  Varese, 31 dicembre 1986) è stato uno scrittore italiano.

         Nella lottizzazione di una tenuta agricola a qualche chilometro da Milano, verso la Brianza, il signor Carlo Colombo e il signor Mario Colombo si trovarono ad essere acquirenti all‘insaputa l‘uno dell‘altro di due ritagli di pari grandezza.
Ambedue i Colombo, che non erano neppure parenti alla lontana, decisero di costruire una villetta a ridosso d'un rilievo arborato e davanti ad uno spiazzo rettangolare che pensarono di ridurre a prato: prato all'inglese o pelouse, steso come un tappeto tra il parterre e la cancellata che chiudeva le due proprietà verso un viale di tigli.
Fin dall'inizio dei lavori di costruzione i due Colombo cominciarono a guardarsi con sospetto: destinati ad essere confinanti per tutta la vita, preparavano quella freddezza di rapporti che avrebbe garantito la loro reciproca indipendenza. Non sapevano di avere lo stesso cognome, le stesse aspirazioni, la stessa età e una quasi identica moglie. Erano due coppie di coniugi senza figli, che parevano fatte apposta per dar motivo di confusione a tutti i loro fornitori, i quali solo nel giro di alcuni anni sarebbero riusciti a non consegnare i pacchi della famiglia Colombo Mario alla famiglia Colombo Carlo o viceversa.
Insediati nelle loro villette all'inizio dell'estate, ebbero ciascuno per proprio conto il piacere di veder crescere in poche settimane il prato all'inglese, ugualmente fitto e di pari altezza, senza intrusione di trifoglio o di altre erbe infestanti. Ebbero anche la sorpresa di leggere il loro rispettivo cognome sulla targhetta collocata sopra il campanello, a metà dei relativi pilastrini: Colombo al primo cancello, Colombo al secondo. Nessuno dei due aveva pensato di far precedere il cognome dal nome o almeno dall'iniziale del nome.
Sempre più indispettiti nel trovarsi ad essere l'uno lo specchio dell'altro, evitarono accuratamente d'incontrarsi e diedero disposizioni alle mogli perché si ignorassero con pari costanza e attenzione.
Era a questo punto il loro godimento della sospirata tranquillità, quando un giorno il Mario Colombo, affacciandosi al balcone, credette notare che il prato del vicino era di un verde più intenso del suo, più compatto e regolare. Subito ricordò il detto "Il prato del vicino è sempre più verde" e cercò di non pensarci. Ma guarda e riguarda, dovette persuadersi che gli era proprio toccato l'appezzamento meno adatto a quel genere di prato. Chiamò un giardiniere, il quale negò qualsiasi differenza, osando perfino sostenere il contrario, cioè che era più verde il suo.
Temendo d'essersi imbattuto in persona infeudata al vicino, il Colombo Mario si rivolse a un altro giardiniere perché intensificasse la seminagione in modo da superare qualunque altro prato prossimo o lontano.
L'esperto fu del parere che non c'era nulla da fare: per ottenere un verde più intenso ci voleva l'umidità del suolo inglese. Si limitò a raccomandare l'innaffiamento quotidiano, possibilmente serotino.
Fra le due proprietà, entrambi i Colombo avevano fatto collocare una piantata molto fitta di tuie, un po' funerarie, ma impenetrabili a ogni sguardo, così che potevano innaffiare alla stessa ora, verso sera, senza scorgersi l'un l‘altro. Il Colombo Mario arrivò a decidere una bagnata supplementare di mattina, ma si accorse che il Colombo Carlo ci aveva già pensato. Il giorno dopo infatti, appena ebbe in mano la sua canna, vide un arcobaleno di goccioline che si librava nel cielo, sopra le tuie, contro il sole appena sorto.
Dall'invidia e dal dispetto che la vicinanza dell'omonimo e l'impossibilità di superarlo gli suscitava in cuore, il Colombo Mario guarì per puro caso, o forse perché ogni male porta sempre dentro di sé il suo rimedio.
Un pomeriggio, rincasando lungo il viale dei tigli, notò dietro un tronco, proprio all'inizio della sua proprietà, qualche cosa di rosso che si muoveva. Girò intorno alla pianta e si trovò di fronte alla signora Colombo, moglie del vicino, che stava allacciandosi una giarrettiera. Sospettò che fosse una finta mossa e che in verità la signora stesse osservando la sua proprietà. Benché turbato da quel dubbio, si ritrasse domandando scusa. Ma la signora, che si era subito ricomposta, gli sorrise con umiltà. Non poteva essere villano. Tolse il cappello e allungò la mano per presentarsi: «Colombo».
«Colombo» rispose la signora.
«Già» disse il Colombo amaramente. «Non solo siamo vicini, anzi adiacenti, e abbiamo le ville quasi uguali, ma perfino lo stesso cognome.»
«Niente di male» rispose la signora. «Di Colombo ce ne sono a centinaia sull'elenco telefonico di Milano.»
«Certo, ma la cosa può dar luogo a degli inconvenienti, a qualche qui pro quo. Non le sembra?»
Si erano avviati lentamente, affiancandosi, ma il Colombo, arrivato all'altezza del suo cancello non entrò, dicendo di voler continuare la passeggiata dal momento che sua moglie era in città, dal parrucchiere.
«Passo anch'io» disse la signora «delle mezze giornate dal parrucchiere. In casa mi annoio: mio marito è sempre fuori. Stasera, per esempio, non torna neppure a cena. Ha un pranzo d'affari.»
«Sarò indiscreto», la interruppe il Colombo che non l'aveva neppure ascoltata, «ma vorrei togliermi una curiosità: il vostro prato è di saggina o di eragrostis?»
«Di saggina, naturalmente, come il suo!»
«Le confesso», riprese il Colombo, «che dapprima volevo farlo di eragrostis…»
«Per carità! Sarebbe stato un grosso errore! L‘eragrostis è un'erbaccia: una specie di gramigna!» «Appunto, appunto. Chi non lo sa che per ottenere il vero prato inglese ci vuole la saggina?»
La signora, che non aveva capito la curiosità del signor Colombo, gli chiese:
«Scusi se sono un po' curiosa anch'io, ma ha forse notato qualche differenza fra i due prati?»
«Molta differenza no: la qualità dell'erba è la stessa, il terreno è il medesimo… Solo che il vostro cresce meglio. Come se fosse concimato…»
«Concimato? Ma cosa dice? Qualunque concime brucerebbe l'erba!»
«Certo. Dicevo così… Un'impressione.» «Sa», disse la signora, «che anche mio marito è di questa opinione? Secondo lui cresce meglio il vostro.»
Sorrisero tutti e due e si guardarono negli occhi. Erano davanti al cancello del Colombo Carlo e stavano per salutarsi. Il Mario Colombo non poté resistere alla tentazione di dare un'occhiata alla signora, ora che il suo dubbio lo aveva espresso. Si era quasi dimenticato di averle visto una gamba scoperta, poco prima, dietro il tronco del tiglio. Coscia piena, a pancia di pesce, attacco robusto, ginocchio leggero, liscio, polpaccio un po' a bottiglia, ma armonioso. Considerandola da vicino si accorse che la signora aveva la vita sottile e il petto ben sostenuto. Tutti i confronti con sua moglie furono a favore della vicina. La quale, un po' imbarazzata, resisteva a quell'esame e preparava uno sguardo severo per quando il signor Colombo l'avrebbe di nuovo guardata in faccia. Ma il Colombo, fissandole i piedi e scuotendo la testa, mormorò:
«Non solo l‘erba del vicino è più verde… Mia moglie è una brava donna, curata, sempre in ordine… Ma lei, mi permetta, ha una figura…»
«Mi sembra che alla sua signora non manchi proprio niente. E lei non dovrebbe fare di questi confronti.»
«No, no. Non è per fare dei confronti, o perché le cose degli altri fanno sempre invidia, ma debbo riconoscere che una signora come lei si vede di rado. Sono felice di averla per vicina. Anzi, bisognerà che un giorno o l'altro vi conosciate, con mia moglie. Poi avrò il piacere di conoscere suo marito. In fondo, siamo qui a due passi, in una zona isolata. Lo sa che è meglio un buon vicino che un parente, tante volte?»
«Certo, certo. Faremo conoscenza, da buoni vicini. Ma in quanto all'erba, non si metta in testa che ci sia differenza. Sa come spiego io la faccenda?»
«Come la spiega?»
«La spiego così: lei guarda il suo prato perpendicolarmente, dal balcone, e lo vede un po' rarefatto, con qualche chiazza di terra qua e là. Il nostro prato invece le si presenta di scorcio. Vedendolo di scorcio è naturale che le sembri più fitto e il verde più intenso. La stessa cosa capita a mio marito. Sapesse com'è geloso del suo prato! Voi uomini avete meno senso della realtà di noi donne. Scommetto che a sua moglie non è mai venuto in mente che il nostro prato è più verde.» «Infatti!»
«Vede che ho detto giusto?» «E' un'osservazione acuta» riconobbe il Colombo. «Non ha torto. Potrebbe trattarsi di un'illusione ottica. E' come guardare una cancellata: un conto è guardarla di fronte e un conto guardarla di profilo. Di profilo sembra un muro. Così l'erba… Ma sa che mi viene voglia di constatare? Mi piacerebbe proprio guardare il mio prato dal suo balcone!» «Se è solo per questo, s'accomodi.» La signora Colombo tolse la chiave dalla borsetta e aprì il cancello. Traversando il prato seguita dal Colombo, disse:
«Veramente, il nostro balcone corrisponde alla camera da letto. Ma comunque, per dare un'occhiata!»
Entrarono in casa, salirono al piano superiore e traversarono la camera da letto. La signora aprì le imposte del balcone e il Colombo, che si era accostato alla ringhiera, emise subito un grugnito di soddisfazione. Il suo prato era nettamente più verde di quello del vicino. Tornò a contemplarlo, chino sul parapetto.
La signora, sorridendo soddisfatta, andò ad affiancarglisi, forse un po' troppo vicino, tanto che, spostando il braccio di solo mezzo centimetro, il signor Colombo ne sentì la carne attraverso la manica della sua giacca di alpaga. Ebbe un brivido. Aveva sotto gli occhi, a distanza ravvicinata, il braccio marmoreo della signora Colombo, compresso contro il busto a mandare avanti, davanzale sul davanzale, un vero petto da competizione. Avvicinò il naso all'ascella sinistra della signora, che si scostò un poco. Dall'ascella uscì un afrore che lo fece impallidire.
La signora si alzò e si ritrasse lasciando aperto il balcone. Il signor Colombo la seguì inebetito attraverso la camera, accorgendosi che la fonte di quell'odore non cessava di emettere richiami. Capì che stava per fare una pazzia. Ma l'aveva capito anche la signora, che lo teneva d'occhio in uno specchio. Quando fu certa che il Colombo stava per allungare le mani, si girò di colpo, ma non ebbe spazio sufficiente per manovrare una qualsiasi difesa.
La coperta di lino azzurro del letto, tesa fin sopra i cuscini, si stendeva sotto di loro come un abisso marino pronto a riceverli.
Dopo alcuni annaspamenti e con un piccolo grido di disappunto della signora, irritata non tanto con se stessa quanto con la sorte che si era servita dell'eragrostis e della saggina per ridurla a quel punto, i due caddero sul letto.
Una mezz'ora dopo, sul cancello, il Colombo Mario non aveva più parole. Le aveva dette tutte, quelle che poteva dire, tra la camera da letto e la soglia dove la signora, perfettamente ricomposta, lo congedava con sussiego: «Spero che saprà dimenticare tutto al più presto», gli disse indurendo i tratti del viso.
Il Colombo si portò una mano al petto e piegò il capo in silenzio. Riprese fiato solo rientrando nella sua proprietà. "Eragrostis o saggina, si disse a mezza voce, di fronte o di profilo, dall'alto o dal basso, i due praticelli sono uguali, non c'è dubbio. Ma di Colombo come me, ce n'è uno solo!" 
(Da Di casa in casa, la vita)

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