martedì 24 dicembre 2013

Homo technologicus


Sempre più spesso, anche  per fare il pieno di carburante, è  necessario venire a contatto con marchingegni elettronici. Alle pompe di benzina sono quasi scomparsi gli addetti e, specie il sabato e la domenica, se non te la cavi con tastiere e pulsanti, corri il rischio di restare a secco.
Personalmente me la cavo abbastanza bene, ma preferisco le stazioni di servizio che già conosco, perché le situazioni nuove mi provocano sempre un po’ di ansia al primo approccio.
Una volta (era domenica) mi sono avvicinato ad una pompa, ho infilato i soldi nella cassa, poi ho aperto il tappo del serbatoio, ho estratto la pompa e solo allora mi sono accorto che  l’auto era troppo lontana. Ho rimesso il tappo, ho avvicinato l’auto, ho riestratto la pompa, ma a quel punto un bigliettino fuoriuscito silenziosamente da una feritoia mi avvisava che il mio tempo era scaduto. Seppi allora per la prima volta che l’intera operazione doveva essere ultimata categoricamente entro cinque minuti. Lo stesso bigliettino mi avvisava che potevo recuperare i 40 euro versati, presentandomi l’indomani al gestore della stazione. Nulla da eccepire, a parte il fatto che mi trovavo a 200 km da casa e che per recuperare quei soldi dovetti aspettare un successivo viaggio da quelle parti dopo un paio di mesi.
Talvolta le stazioni di servizio hanno pochissime o una sola  pompa  selfservice ed in questo caso è necessario o preferibile ritrovarsi da soli, perché solo così hai tutto il tempo necessario per “studiare” bene la situazione ed evitare di commettere errori. Ma quasi sempre, non appena ti appresti a predisporre il necessario per il rifornimento, arriva una nuova auto e ti si accoda. Devi sbrigarti. Ti metti ad osservare con la coda dell’occhio il nuovo arrivato e ne spii le mosse. C’è l’impaziente, che scende dall’auto, ti si accosta e con la sua sola presenza sembra quasi invitarti a fare presto. Inutile dire che in situazioni del genere è ancora più facile sbagliare, impappinarsi, premere un tasto al posto di un altro, magari afferrare la pompa del diesel al posto di quella con la verde, o viceversa, con il rischio di compiere operazioni irreparabili, infine recuperare un attimo prima del disastro  e ovviamente perdere ancora più tempo.
            Ma non è da trascurare la presenza della persona tranquilla. Tu ti stai preparando e ti si accosta una nuova auto. L’autista spegne il motore e si mette ad aspettare che  ti sbrighi, in una condizione di tutta tranquillità. Tu lo guardi e lui magari ti sorride, ma con quel sorriso sembra che voglia dirti: “Guarda, io sono qui in attesa, non ti sto dando fretta, ma, se ti dai una mossa, ti sono grato”. Anche in questo caso gli errori sono frequenti ed una qualche perdita di tempo è inevitabile.
Una volta, mi trovavo dalle parti di Milano, mi accorsi che la spia del carburante incominciava a segnare rosso. Dovevo assolutamente fare rifornimento e mi fermai ad una stazione di servizio deserta che mi sembrò ideale per fare il tutto con la necessaria calma. Avevo appena aperto il tappo del carburante, quando mi si accodò un’auto. Notai che aveva quasi la mia stessa targa, a parte la lettera finale. L’autista scese dall’auto e incominciò a sgranchirsi le gambe a qualche metro di  distanza da me, mentre all’interno dell’auto una nidiata di bambini vociava rumorosamente.  Con calma presi cinquanta Euro e li infilai nell’apposita feritoia, ma l’aggeggio me li ritornò indietro. Capovolsi  la banconota e la reinfilai, ma ancora una volta l’aggeggio me la restituì. Quel signore sembrava seguire le mie manovre con apparente noncuranza. Io intanto, già un po’ innervosito, avevo infilato la banconota per la terza volta e per la terza volta l’aggeggio me l’aveva restituita.
Mi venne il sospetto che la banconota potesse essere falsa e allora ne presi un’altra e la infilai, ma ancora una volta l’aggeggio si rifiutò di accettarla, mentre io, sempre più nervoso, incominciavo a “dare i numeri”. Ero sull’orlo di una crisi di nervi, quando mi sentii toccare ad una spalla. “Permette che faccia io?”, mi chiese il signore dell’auto in attesa. Poi prese la banconota, la guardò di profilo, la infilò nella feritoia e l’aggeggio, con armoniosa dolcezza, la accettò e diede l’avviso di “rifornimento in attesa”. Quasi incredulo, feci il pieno di carburante e come un automa alla fine andai a ringraziare il signore sconosciuto. “Lei è di Crotone, vero?”, mi disse, “se non ci aiutiamo tra compatrioti all’estero…Ha visto la mia targa?  E’ quasi uguale alla sua. Anche io sono di Crotone”. “All’esterooo...?!, balbettai, santa solidarietà dei Calabresi!…Grazie…grazie di tutto…Ciao”. Mi infilai nell’auto e feci un ultimo cenno di saluto al mio Angelo salvatore.

martedì 17 dicembre 2013

L'immane fatica dello scrivere

A Napoli, come è risaputo, ci si industria in vari modi per sbarcare il lunario. Una volta ci si dava da fare soprattutto con le sigarette, oggi vanno forte altre attività più o meno illegali, ma c’è anche chi “intraprende” attività nobili o almeno di un certo livello. E’ il caso della signora Filomena Giannatiempo, che qualche anno fa decise di fondare una casa editrice, specializzata nella stampa di   libri  del genere patetico-sentimentale o comunque strappalacrime.
L’amica  Cecilia Romani mi ha inviato un’edizione del libro Cuore, di cui si pubblica la prefazione redatta dalla stessa Filomena Giannatiempo. E’ tutta da leggere questa prefazione, ed anche da apprezzare e da gustare, parola per parola, pezzo per pezzo, come un cibo delicato o una bevanda sopraffina. Buona lettura!
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mercoledì 11 dicembre 2013

In materia di immigrati


Fino a qualche tempo fa i parcheggiatori abusivi extracomunitari si vedevano soltanto in alcuni spiazzi vuoti e non regolamentati. Da un po’ di tempo il loro numero è cresciuto a dismisura e si può dire che ormai essi hanno letteralmente invaso Crotone. Si muovono a frotte come le cavallette e già alle sette del mattino si piazzano ai loro  “posti di lavoro”. Mi è capitato l’altro giorno di posteggiare l’auto nei pressi dell’ospedale alle 6.30 del mattino, per prenotare in tempo una radiografia, ed avevo avuto l’impressione che non ce ne fossero ancora in giro. Senonché, appena messo piede a terra, da dietro un cespuglio mi è arrivata una voce: “Buon giorno, capo!( una variante è: “Buon giorno, cugì’!). Ho capito subito che quello era giorno di straordinari. C’è da dire che in genere  le richieste sono discrete e rivolte in modo dimesso, anche se negli ultimi tempi si nota a volte un atteggiamento vagamente sfrontato. Ma non è questo il punto.
Ogni tanto mi soffermo ad osservare, quando ho qualche minuto da perdere, il comportamento degli automobilisti crotonesi alle prese con questi parcheggiatori. Pagano quasi tutti, soprattutto le donne ed i possessori di auto nuove o di lusso. Se li interpelli, ti rispondono che si tratta di poche monete date per pura e semplice generosità. Ovviamente non è vero, perché la generosità, anche quella più grande, non può essere messa a prova quaranta volte al giorno e chi dona in simili casi non è disposto ad ammettere , forse neanche con se stesso, che la molla inconscia che lo spinge a pagare è semplicemente la paura di trovare qualche danneggiamento alla sua auto.
In piazza Umberto I, dove ogni tanto posteggio a  pagamento per motivi di lavoro, ho chiesto a due  attentissimi e sospettosissimi “volontari del traffico” se per caso tra i loro compiti, oltre a quello di sanzionare comodamente  e facilmente il mancato pagamento della sosta, ci fosse anche quello di tenere a bada i parcheggiatori abusivi, ai quali molti pagano un secondo permesso di sosta. Mi hanno risposto candidamente che tra i loro compiti questo non era compreso. Una domanda simile, rivolta ad alcuni agenti della polizia municipale, indaffarati a scattare foto ad auto in divieto a poca distanza da un gruppetto di parcheggiatori, non ha avuto miglior fortuna ed ha ricevuto come unica risposta uno sguardo di degnazione da parte dei sunnominati, i quali mi hanno squadrato con l’atteggiamento tipico di chi si chiede: “Ma questo c’è, o ci fa?”
L’altro giorno, per la prima volta, ho visto tre parcheggiatori abusivi extracomunitari  in viale Gramsci, una volta indenne. Mi sono avvicinato con curiosità, anche per motivi personali, perché io abito in viale Gramsci: occupavano gli spazi vuoti man mano che si liberavano, con il dorso delle mani davano indicazioni alle auto che sopravvenivano, controllavano le fasi del posteggio, ricevevano la mancia  ed infine da un blocchetto staccavano un tagliando, che essi stessi provvedevano ad infilare sotto il tergicristalli. Quando si dice “l’organizzazione”! E dire che la soluzione dei problemi del continente africano era a portata di mano e nessuno finora ci aveva pensato!
“Basta poco, che ce vo’?”, diceva un tizio. L’importante è non scoraggiarsi. Da un po’ di tempo, quando rientro a casa, mi aspetto di trovare un baldo giovanotto africano che,  roteando e mulinando le mani, mi indichi la direzione del portone del palazzo. Magari un altro lo troverò davanti all’ascensore e un altro ancora davanti all’uscio di casa. A quel punto potremo legittimamente sostenere che noi Italiani siamo sulla buona strada per risolvere i problemi, non del solo continente africano, ma dell’umanità intera. 

mercoledì 27 novembre 2013

The end

Non facciamo i distratti di fronte alla Storia

La crisi ci impedisce di capire che la giornata di oggi sarà ricordata nei libri di scuola. A differenza di tanti sedicenti protagonisti politici

La Storia si poserà come uno sparviero oggi sul Parlamento e sul nostro Paese. Fisserà col fermo immagine la scena e la porterà via con sé, insieme al protagonista. Una minaccia a lungo aleggiante sui cieli della politica, della giustizia e del nostro Paese, oggi planerà in aula e diventerà realtà. Un'epoca, un ciclo, una saga si concluderà dopo un prolisso, feroce, grottesco preambolo. Resterà negli annali questo mercoledì 27 novembre come il giorno in cui si chiuse in senso carcerario un'epoca: per la prima volta nella storia della nostra Repubblica un leader politico e un ex premier assai popolare sarà dichiarato decaduto e finirà in carcere o succedanei più o meno pietosi.
La Storia oggi si posa sulle spalle d'Italia, ma il Paese non se ne accorge, è distratto, e non felicemente distratto ma angosciato da una brutta crisi senza sbocchi. Un Paese estenuato, stanco di questo interminabile teatro, una commedia che vira al noir e forse al dramma, dopo lunghi e tempestosi preliminari. Vent'anni fa il popolo italiano vedeva finire una Repubblica, decadere un ceto politico, ma nutriva qualche fiducia che saremmo passati da una storia all'altra, ci sarebbe stato un futuro. Stavolta no, non intravede forze nuove e protagonisti futuri, nemmeno tra i magistrati, come invece accadde al tempo di Mani Pulite. Finisce l'esame di storia, ci resta solo quello di economia. La Storia ci passa sopra e accanto; e noi, spompati e sfiduciati, voltiamo la testa altrove. A casa ci aspettano le partite, la cena e la Iuc, ossia feste, farina e forca.
Forse neanche lui, Silvio Berlusconi, è del tutto consapevole della portata storica di questa giornata, è ancora troppo preso nella guerra, combatte, si difende, si appella, reagisce, si agita. È ancora troppo nella parte per riuscire a osservare la scena fuori dall'affanno del momento. Dal canto suo il Parlamento esegue con sordido fatalismo un percorso coatto, lo espleta come una pratica d'ufficio, doverosa e grigia, perché così è scritto nei cieli delle procure. Qualunque sia il giudizio su Berlusconi - giudizio politico, storico e umano - un fatto è certo: lui, che è l'unico a uscire di scena questa sera, sarà pure l'unico a restare tra i presenti nella Storia. Dico Storia a prescindere se sia poi considerata gloriosa o infame, tragedia o farsa, evento politico o giudiziario. Ma Storia.
Agli altri, alleati e nemici, sostenitori, mediatori e antagonisti, si addice l'oblio. Poco o nulla resterà di tutti gli altri, dal Capo dello Stato al Capo del governo, ai capi dei partiti e ai magistrati. Si ricorderà a stento qual era il governo in carica quando decadeva Berlusconi. L'unico sopravvissuto di questa fase infelice della storia politica e civile italiana sarà proprio l'unico condannato a uscirne, per decreto giudiziario. L'unico personaggio storico che reggeva il passo controverso della Storia è morto in maggio e si chiamava Andreotti.
Continuo a credere che non sarà l'ultimo atto del ventennio berlusconiano. Continuo a pensare che non finirà così, in modo indolore. Da tempo ho il presentimento che non sarà un happy end, ma qualcosa di tragico accompagnerà la conclusione di un'epoca pur così sfacciatamente votata all'ottimismo. Non credo alle guerre civili, ma non penso che finirà come una soap opera coi titoli di coda e la sigla di chiusura.
Se ci fosse qualcuno all'altezza della Storia, avrebbe la forza, il carisma, il coraggio e l'inventiva di cambiare il finale. Qualcuno capace di capovolgere il fatalismo e rimettere in moto l'Italia e la sua Storia. Ma, interrogato, il morto non rispose. Cosa davvero non perdonano a Berlusconi a tal punto da rendere necessaria, ineluttabile, la sua decadenza? Cos'è che un Parlamento, abituato da due Repubbliche a ogni abuso, corruzione ed estremismo, non sopporta di lui, a parte le convenienze politiche? Pensate davvero che un Parlamento malfamato in modo proverbiale, perfino agli occhi dei Simpson, sia spaventato per le accuse di corruzione, concussione e collusione o sia indignato per i giri sexy, i deputati di ventura e le cattive compagnie? Ma no, questo ceto politico ha storie alle spalle piene di queste cose, per non dire di altre ben più gravi: dalla svendita del nostro Paese all'asservimento a potenze straniere, anche avverse, dall'incapacità di governare alle tangenti, al voto di scambio, agli intrecci con la malavita e con l'estremismo... Figuratevi se con quel curriculum la politica si può spaventare del carnet di accuse a Berlusconi.
In realtà quel che la partitocrazia non sopporta di Berlusconi è il suo presentarsi sin dalle origini come il Corpo Estraneo, quello che non viene dalla politica, anzi la schifa, salvo restarne irretito e votato. E pure i grillini si accodano e si riducono a truppe cammellate della stessa partitocrazia che avversano. Proviamo a metterci nei panni dei suoi avversari. Se tra loro ci fosse un leader lungimirante inchioderebbe Berlusconi a una sua frase: sono costretto alla politica, preferirei occuparmi del Milan. Gli direbbe: se fai politica solo per difenderti noi ti solleviamo dall'obbligo e ti tuteliamo noi, a patto che tu poi sia conseguente, lasci la così disprezzata politica e ti dedichi al Milan. E poi direbbe agli italiani: eccolo, Berlusconi salvato dalla politica che detesta e rimandato come egli desidera negli spogliatoi... In quel modo, sì, lo neutralizzerebbero e ne uscirebbero alla grande. Non lo faranno. Sono nani, scartine e quaquaraquà. Alla Storia, nel bene e nel male, passerà solo lui, l'Imputato.

lunedì 25 novembre 2013

Destra e sinistra, oggi. Di Gianni Candotto.

Lo studio americano: a sinistra i più ottusi e intolleranti

Di Gianni Candotto, il  - # - 28 commenti
BERSANI-2Il bestseller “the Righteous mind” di Johnatan Haidt, docente universitario di psicologia sociale in molte università americane, di dichiarate tendenze liberal, ovvero di sinistra, scopre quello che Guareschi già diceva tanti anni fa: le persone di sinistra sono di solito più ottuse, estremiste, chiuse e intolleranti. Guareschi li disegnava con tre narici, violenti e pronti a cambiare idea appena arrivava il “Contrordine compagni!” dei capi del partito rosso, Haidt invece fa uno studio approfondito iniziato nel 2004 e conclusosi dopo migliaia di esperimenti con la pubblicazione del suo bestseller nel 2012. Certo Haidt dice di averlo pubblicato, non a caso è di sinistra, con lo scopo di aiutare la sinistra americana a non essere troppo chiusa e autoreferenziale e migliorare il partito democratico perché non sottovaluti la componente emotiva dell’elettorato.
Un altro scopo dichiarato del suo lavoro era capire come mai la destra prendesse più voti della sinistra tra gli operai, fatto che nella mentalità progressista dell’autore rappresentava un paradosso.
Una delle parti intuitivamente più semplici da capire di questo studio è il sondaggio proposto a 2000 americani che si definivano liberal (in Italia sarebbero a sinistra del PD) sui valori e le convinzioni dei conservatori: ne è venuto fuori un quadro paradossale dove le persone di sinistra avevano una visione caricaturale di quelli di destra visti come dei bruti, ignoranti, razzisti, omofobi. Lo stesso sondaggio fatto al contrario mostrava come i conservatori fossero estremamente più tolleranti e aperti a capire le opinioni degli altri. In poche parole molto più democratici. L’esperimento intuitivamente funzionerebbe anche in Italia. Il professor Haidt in questo vede la difficoltà dei liberal di capire i sentimenti dei conservatori, perché si è accorto che alcuni valori naturali che fanno parte della mente umana, come autorità, famiglia e senso del sacro vengono identificati con razzismo, omofobia e fondamentalismo religioso dai liberal, in particolari quelli più accesi.
Gli stessi liberal riescono a concepire solo tre fattori che sono radicati nella mente umana, cioè la salute, la libertà e l’equità, sui sei che secondo gli studi di Haidt compongono l’intelletto politico dell’individuo.
Mentre però per i conservatori libertà, salute ed equità sono valori accettati anche se declinati in maniera differente, per i liberal gli altri tre sono valori rifiutati tanto che al solo nominarli hanno reazioni pavloviane di rigetto.
Questa in sostanza la dimostrazione pratica della mancanza di elasticità mentale e apertura delle persone di sinistra. L’autore poi si sposta sulla pratica quotidiana sostenendo che internet ha peggiorato la mentalità degli estremisti, portandoli a leggere solo siti di informazione che si adattano alla propria mentalità. Se lo studio è intuitivamente plausibile, le soluzioni che propone tuttavia lasciano alquanto perplessi (è dopotutto un liberal anche lui), come quella di invitare le famiglie dei parlamentari a vivere a Washington perché imparino a scambiarsi opinioni tra famiglie di destra e di sinistra.
In Italia tale studio è stato tradotto con un titolo molto fuorviante: “Menti tribali: perché le brave persone si dividono su politica e religione”.
Senza leggere gli studi dei liberal americani, è sufficiente rivedersi le vignette di Guareschi.

Napolitano ricatta di Alessandro Sallusti

Napolitano ricatta

Il presidente Napolitano passa alle minacce. Chi scenderà in piazza mercoledì e magari nei giorni successivi che cosa rischia? La galera, il fermo di polizia, la schedatura come sovversivo?

Il presidente Napolitano passa alle minacce. Della grazia a Berlusconi - dice - non se ne parla neppure.
E fin qui, nulla di nuovo. Il salto di qualità arriva subito dopo. Se qualcuno vorrà manifestare contro la decadenza di Berlusconi - aggiunge l'inquilino del Quirinale - stia ben attento ai modi e alle parole. Siamo all'avvertimento, all'intimidazione. Perché, presidente, a che cosa dovremo stare attenti? Chi scenderà in piazza mercoledì e magari nei giorni successivi che cosa rischia? La galera, il fermo di polizia, la schedatura come sovversivo? Ecco, allora si accomodi fin da subito perché le dico già ora che lei è il capo di una cospirazione che sta cercando di sovvertire la volontà popolare. Lei è un vecchio inacidito e in malafede indegno di occupare la più alta carica dello Stato. Lei vuole zittire milioni di italiani come ha zittito la Procura di Palermo che aveva trovato le prove delle sue malefatte. Lei ha il pallino di zittire i cittadini che manifestano per la libertà (le ricordo che ha sulla coscienza migliaia di ungheresi trucidati dai russi con il suo consenso morale e politico). Lei per scalzare Berlusconi ha comperato prima Mario Monti con la carica di senatore a vita, facendolo pagare a noi fin che campa. Fallita la missione ci ha riprovato comperando un pezzo della dirigenza Pdl, quello più debole, compromesso e ricattabile. Ha taciuto sulle nefandezze della magistratura, ha venduto il Paese a Stati esteri, Germania in primis. Noi non ci faremo intimidire dalle sue minacce. Lei è un golpista, perché usa il suo potere al servizio della vecchia causa comunista oggi rivista e corretta in salsa lettiana. Noi scenderemo in piazza, contro la magistratura, contro la sinistra e contro di lei che rappresenta il peggio di questo Paese. Che le piaccia o no dovrà ascoltare. Come ai tempi dell'ascesa di Grillo, dirà che non ha sentito. E allora urleremo più forte. Perché noi, a differenza sua e dei suoi tristi cortigiani, siamo uomini liberi.

domenica 24 novembre 2013

Una farsa chiamata giustizia di Giuliano Ferrara

Una farsa chiamata giustizia

Una mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la democrazia italiana e lo Stato di diritto del suo significato

Sono piuttosto un realista che un apocalittico. Ma ora bisogna dirla tutta. Una mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la democrazia italiana e lo Stato di diritto del suo significato.
Nessuno può tirarsi fuori dal giudizio. Nessuno può rifugiarsi, come fossero uno schermo neutrale, tecnico, dietro le surreali condanne nei processi Ruby1 e Ruby2 o al riparo delle procedure dell'accusa nell'imminente Ruby3 ovvero la devastante pretesa dei pm di Milano di estendere all'imputato e alla sua intera difesa, testimoni e avvocati, le accuse di ostruzione della giustizia e falsa testimonianza. Se c'è ancora un'Italia autentica e sensibile alla verità nell'opinione pubblica, nelle istituzioni, nella politica anche la più faziosa, è il momento che si levi una protesta forte e chiara contro una delle più infami vergogne della storia nazionale.
Berlusconi ha dato delle feste in casa sua, ha invitato delle ragazze e degli amici, gli amici lo hanno aiutato a comporre il suo harem burlesque, il suo privato divertimento, condividendolo. Berlusconi è notoriamente ricco e generoso, fa regali da sempre a destra e a manca, senza distinzione di rango, e con il circuito delle sue feste è stato come spesso gli succede regale e sciupone senza remore o rimorsi. Ha fatto una telefonata in questura, inopportuna sotto il profilo protocollare ma non concussiva, gentile e in prima persona, allo scopo di evitare a una delle sue ospiti la consegna a una comunità. Anche per disinnescare lo scandalo dovuto alla esibizione forzata del suo privato, ha inventato balle giocose, come quella della nipote di Mubarak. Bene. Queste sono tutte cose che rientrano nella dimensione privata, criticabile quanto a comportamento politico e civile di un uomo di governo e di Stato, ma non criminalizzabile.
Invece quel che ne è seguito, con mezzi d'indagine e una vocazione guardona e origliatrice da Stato di polizia, è precisamente la trasformazione di peccadillos da scapolo abbiente e da re di Arcore in reati infamanti che comportano anni e anni di galera. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. A dimostrare che al di là di ogni ragionevole dubbio siamo invece in presenza di reati penali da punire con la massima severità: regali alle ragazze e agli amici e una raccomandazione a un gentile funzionario di Questura da scambiare con anni di galera. A dimostrare che abbia un qualche senso una condanna per atti sessuali prostitutivi quando di questi atti non esiste prova alcuna, mentre nelle stesse motivazioni della condanna si dice bellamente che non è quello il problema, palpeggiamento in più o in meno. Sfido chiunque a dimostrare che sia parte di uno Stato di diritto e delle sue garanzie un tribunale che condanna su queste basi effimere e ambigue e poi trasforma gli atti difensivi, rinviandoli ai pm perché istruiscano nuovi processi, in un nuovo capo d'accusa a raggiera, una retata potenziale di testimoni che si trovano così in una pesante situazione di condizionamento e di pressione: o ammetti di essere stato un falso testimone e di aver collaborato con un'azione di inquinamento del processo oppure ti becchi la galera anche tu.
Una gigantesca gogna ha devastato l'immagine pubblica di un capo democratico, di un uomo della democrazia rappresentativa, un leader che ha vinto tre volte le elezioni e ha governato il Paese secondo le regole, altro che storie, ritirandosi in buon ordine anche quando avrebbe avuto diritto al suo appello al popolo che lo aveva stravotato nelle urne del 2008 (novembre 2011). Questo non è un caso personale, da tenere distinto dal resto, cioè dalla stabilità di governo (che palle che ci raccontano sul semestre europeo) o da qualunque altra circostanza. Se la democrazia sanguina, se si insinua un dubbio di fondo sul suo funzionamento imparziale, perché gli atti di giustizia si trasformano in una persecuzione personale, qualunque sia il giudizio sul perseguitato, sui suoi errori, e anche sulle sue colpe o sui suoi peccati, non si può dormire tranquilli.
Non tutti in questo Paese hanno bevuto la leggenda nera di Andreotti mafioso, di Craxi spolpatore delle finanze pubbliche per avidità, del doppio Stato reo di stragi infinite e di trattative collusive con i poteri criminali. Molti tra coloro che pure hanno combattuto per le loro idee e contro le classi dirigenti della vecchia Repubblica, e hanno mantenuto la loro autonomia di giudizio nella situazione che seguì alla sua caduta, hanno cercato di esercitare il giudizio critico sull'unico potere che da almeno vent'anni si considera al di sopra delle parti mentre agisce come parte in causa in una lunga guerra ideologica, quello dell'accusa penale. Questi italiani che non hanno portato il cervello all'ammasso dello spirito forcaiolo si facciano sentire. E anche i capi delle istituzioni, prima di tutti il garante della Costituzione e capo della magistratura, il presidente della Repubblica, non possono tirarsi fuori dal dovere di intervento e di correzione della grave stortura che si è prodotta.
Esprime il peggio della cosiddetta ideologia italiana, viltà maramaldesca, chi oggi si volta dall'altra parte, chi mette la propria antipatia e inimicizia politica verso Berlusconi, o anche soltanto la voglia di quieto vivere, davanti al dovere di giudicare una ignobile messinscena chiamata giustizia.

giovedì 21 novembre 2013

Con i fondi dell'eolico lotta al dissesto DI FRANCO BATTAGLIA

Dal 2007 a oggi duecento miliardi sottratti alla cura degli argini dei fiumi e alle opere di prevenzione.

Correva l'anno 2000, precisamente era il 18 ottobre, quando apparve sul Giornale l'intervista che mi aveva fatto Giancarlo Perna.
L'apprezzato giornalista era venuto a trovarmi nel mio studio all'università (allora a Roma) come fossi una specie di matto, visto che in una serie di articoli denunciavo la frode ambientalista che era allora nel suo pieno vigore. Ma - disse Perna - possibile che di tutte le paturnie dei Verdi, di Wwf e di Legambiente, dalle lotte a elettrosmog, nucleare, ogm, polveri sottili, riscaldamento globale, alle promozioni dell'agricoltura biologica, dell'energia eolica e dei pannelli fotovoltaici, non gliene va bene una, professore? Ci sarà pure una qualche emergenza ambientale. Sì, risposi, il dissesto idrogeologico. Naturalmente non v'era - né v'è ragione - perché io fossi ascoltato o preso in qualche considerazione. E infatti così fu.
In questi 13 anni, sono stati ascoltati i geologi che per pochi tozzi di pane si sono venduti. I prodi professori al governo hanno dato la patacca di ministro ai Pecoraro-Scani, i Realacci sono diventati onorevoli, e gli attivisti venditori di fuffa ambientalista sono fermati solo in Russia. La merce che tutti costoro ci hanno venduto è stata questa: quando il clima fa i propri capricci rammentate che la colpa è vostra, e dovete rimediare installando pale eoliche e pannelli fotovoltaici. E pazienza se è roba che andrebbe venduta in gioielleria, ma è il prezzo che dovete pagare se volete combattere i cambiamenti climatici. Vi sembra che sto esagerando? No. Sulla Gazzetta di Modena (gruppo Espresso- Repubblica) di ieri 20 novembre leggo questo titolo: «Aiutare il clima non è solo un'utopia, è davvero facile». Come? Installando pannelli solari, veniamo informati. Che è poi quel che stiamo facendo dal 2007, cioè dalla prima finanziaria di Prodi che, ministro Pecoraro-Scanio, predispose le cose affinché ci indebitassimo per 200 miliardi solo sul fotovoltaico. La motivazione? Combattere i cambiamenti climatici.
Duecento miliardi che, sottratti alla cura degli argini dei fiumi, alla costruzione di appropriate casse d'espansione, e a tutto quanto suggerirebbe il buon senso in ordine alla protezione dei territori ove viviamo dalla forza di eventi naturali che la storia registra dai tempi più immemorabili, non hanno potuto risparmiare, alla Sardegna oggi, a Brescia ieri, a Genova l'altro ieri, a Sarno ancora prima, il disastro. O almeno mitigarlo. Questi falsi profeti ci hanno ripetuto per vent'anni che per proteggere la nostra casa in montagna dal peso della neve non bisogna costruire tetti spioventi ma bisogna spendere le nostre non infinite risorse per non far nevicare. Quando smetteremo di ascoltarli? Quando li isoleremo? E, soprattutto, quando rendiamo fuori-legge i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche?

FRANCO BATTAGLIA


giovedì 14 novembre 2013

Non rimarrà nulla dell'Italia



Allarme della London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell'Italia”.
 
Nel giro di 10 anni del nostro Paese non rimarrà più nulla. O quasi. E' la conclusione catastrofica cui giunge nella sua analisi il professore Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science (LSE). Che cosa ci sta portando alla dissoluzione e all'irrilevanza economica? Una classe politica miope che non sa fare altro che aumentare le tasse in nome della stabilità. Monti ha fatto così. E Letta sta seguendo l'esempio. Il tutto unito a una "terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa".
L'ANALISI DI ORSI
“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come al caso perfetto di un Paese che, in soli 20 anni, è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale ad una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampante terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico e istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi da tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l’estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo quello della Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che negli ultimi decenni ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori.
La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE, sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono certa la scomparsa completa della nazione.
L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo, insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese. Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati del lavoro, le aziende troveranno un vero Stato pronto a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento, organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino, hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati, che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.
L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del Presidente Repubblica, da burocrati di diversi ministeri chiave e dalla Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire a qualsiasi costo la stabilità dell'Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici, sia il Parlamento, a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordinamento repubblicano. L’interventismo del Presidente è stato particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale.
L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia intesa come nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o la Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare.

I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.”

martedì 5 novembre 2013

Le voci del silenzio: Rosina Coniglio


Spero che tu sappia ascoltare la voce delle mie mani. Fermati un attimo, mentre tutt’intorno sibilano i cipressi mossi dal vento ed  i pettirossi infreddoliti si posano sui rami ad adocchiare gli ultimi bagliori del sole o a riconoscere qualche esca tra gli sparsi cespugli in fiore.

Fermati un attimo. Come quando eravamo fanciulli, quando tu passavi, e più spesso correvi, lungo la salita di Viale Puccini ed io ti osservavo da lontano. Spesso ti fermavi e mi osservavi anche tu, con i tuoi occhioni sgranati, mentre da dietro i vetri di una finestra ti inviavo un timido segnale. Parlavano per me i miei occhi e le mie mani e raccontavano i miei sogni di fanciulla, il mio cuore grande, i miei progetti, infiniti come l’aria che respiravamo o il cielo che guardavamo.

Ma la mia vita è stata breve ed i  giorni sono passati senza che gli occhi riuscissero ad esprimere a pieno quel ch’io sentivo in  cuore, i rimpianti, quello che poteva essere e che non era  e non sarebbe più stato. Continuano a morire e a rinascere le stagioni,  le messi, i fiori, ma tutto questo non avviene più per me. 

Nella luce, che adesso mi avvolge e nella quale vivo una vita che non avrà mai fine, non c’è più bisogno di parlare e di spiegarsi. Qui tutto è chiaro ed immediato. Parliamo con la mente e siamo pieni di gioia. Per l’eternità.

sabato 5 ottobre 2013

Le voci del silenzio: Giovanni Valente


Ti rivedo dopo tanti anni. Eri un bambino allora e ricordo quel giorno, c’eri anche tu, quando nel frantoio di tuo padre, Flavio, che era tuo cugino,  cadde nell’olio. Dalle presse uscivano insieme acqua e olio e alla separazione provvedeva lui che di tale arte era considerato un maestro. Anche quel giorno  Flavio prese il suo inseparabile piattino separatore, che egli manovrava con l’abilità di un equilibrista, e scese  verso il pozzetto.
Fu un attimo: perse l’equilibrio, scivolò sui gradini unti di olio ed emise  solo un grido:” Zio Ciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii”. Accorremmo tutti. Si intravedeva solo la testa di Flavio, che fuorusciva appena  dal pozzetto pieno d’olio. Qualcuno gridava, qualcuno si metteva le mani nei capelli, qualcuno si diede da fare per salvare “il naufrago”. Che alla fine fu tirato fuori: sembrava un salsicciotto unto d’olio e pronto per essere arrostito sulla graticola. Ma aveva gli occhi sbilenchi e sembrava incapace di parlare.
Tuo padre mi disse di togliergli i vestiti, del tutto inzuppati  e dai quali si potevano recuperare almeno cinque litri di olio. Alla fine “il naufrago” fu disteso per terra, completamente nudo, e posto vicino ad un grande braciere. Il calore sembrò farlo rinvenire, perché lentamente egli sollevò la testa, si guardò attorno, emise un rutto lungo e fragoroso ed espulse dalla bocca uno spruzzo d’olio che mi colpì in pieno.
Quel giorno si rise molto e tutto si risolse bene, a parte una potente diarrea, che costrinse il malcapitato a restare a casa per qualche giorno.
Allora anche io lavoravo nel frantoio:  guadagnavo poco, ma spendevo anche poco e  mi consideravo fortunato, perché d’inverno avevo il lavoro garantito e non ero costretto ad emigrare come tanti. Adesso siamo tutti qui: io, tuo padre, Flavio. Quei giorni sono ancora vivi nella nostra memoria. Ogni tanto ne parliamo. E sorridiamo. 

mercoledì 25 settembre 2013

Le voci del silenzio:Emilio Monteforte e Angela Scalise


          In quel 29 febbraio di un anno bisestile particolarmente funesto, la morte ci ha colti insieme, all’uscita da un bivio, così come insieme ci aveva accompagnati la vita. Quando la nostra piccola auto è stata travolta, insieme abbiamo avvertito l’impossibilità della lotta e solo abbiamo sussurrato con flebile voce:”Signore, perdonaci tutto”. Così abbiamo abbandonato la fuggente luce del giorno, a poche ore di distanza l’uno dall’altra, con lo sguardo perso nel vuoto, ad inseguire gli ultimi bagliori di una fredda domenica invernale. Abbiamo reclinato insieme lo stelo che ci sorreggeva, quasi in un ultimo abbraccio. 
        La morte ci ha colti increduli, come increduli ci avevano colti il primo gesto d’amore, il primo bacio, il primo mattino della primavera.  Nella luce che ora ci avvolge, sappiamo che continueremo a vivere anche sulla terra. Rivivremo nel ricordo di chi ci ha amati, delle persone che noi abbiamo amato. Saremo l’oro delle api, il primo sbocciare dei fiori, la gemma sul ramo secco. Saremo anche noi la primavera.

lunedì 23 settembre 2013

Testamento

Un amico mi ha procurato un testamento nel quale le ultime volontà del De cuius non sono molto chiare. Pare che a suo tempo gli eredi abbiano accettato con beneficio d'inventario.

I sottoscritto ************** nato a sila Caporizzuto, il 23.2.1902 e ivi residete in via Parco Igiti, lasso ai miei 2 figili************ nato asola caporizzoto il 2.4.1929. un appezzamento di terreno acquisetiato il .21.41982. nelle, agro di isola caporizzuto nella zona ovile spinoso dietti dui 16.50. col reddito dominile di el. m. 189.00 ed agraridio e.11. iputo cofinanti naridi con .stirada, a sudi con piopereietia, piriveato, poicine, è stiatica resciattiatia dia eloreo due. Isolazzuto, 26.10.1985.

mercoledì 18 settembre 2013

La muca paza

Ho ritrovato tra le mie carte questo bel tema del 2001. 


Isola C.Rizuto 16 Genai 2001

In questo nuovo anno 2001 si e verificata la muca paza il quale i contadini hanno dato qualche cosa sbaliata da mangiare per farli creschere piu in freta cosi la vendevanon e loro guadagnavano però la muca quando cresche e malata e prende sempre su noi perche quando noi mangiamo questa carna moriamo tutti pero loro sapendo che la muca e malata pero noi moriamo, io gli darei una bella pena cosi imparerebbero di non fare mangiare della carna malata alle persone ce poi moiono. FINE

mercoledì 11 settembre 2013

Le voci del silenzio: Vincenzo Marino


Ero per tutti “il cavaliere” e non c’era bisogno di aggiungere nome e cognome: tutti sapevano che “il cavaliere” ero io. Per tanti anni sono stato il messo comunale di quel piccolo paese che allora era Scandale, tutti mi conoscevano e tutti io conoscevo, perché almeno una volta nella vita in ogni famiglia ho portato qualche documento da firmare. Era semplice la vita allora ed anche i rapporti tra la gente e chi rappresentava lo stato erano semplici. Attraversavo a piedi le vie del paese e non c’era bisogno di bussare: gli usci erano sempre aperti. Ogni tanto accettavo di sedermi e di bere un bicchiere di vino, nell’attesa che i vecchi rimasti a casa si decidessero a firmare con una croce sulla ricevuta. Alleviavo un po’ la fatica del vivere quotidiano e poi riprendevo il cammino, mentre tutt’intorno si ascoltava d’estate il canto delle cicale.
Una volta ho notificato qualcosa anche a te. Ricordo che interruppi una tua partita a terziglio nel bar Centrale e ti consegnai la comunicazione che eri stato eletto consigliere comunale. Lo sapevi già, certo, ma quel documento ufficiale ti riempì d’orgoglio. Eri giovane allora, ancora studente, e forse pensavi che quella carica era soltanto un inizio. Ti devi considerare fortunato, non già perché eri stato eletto, ma perché  in seguito l’ambizione non ha deformato il tuo animo.
Io sono vissuto abbastanza, sorridendo alla vita e sorridendo alla gente. Nell’attraversare gli ultimi lembi del mio viaggio terreno, ho ripercorso i momenti tristi e lieti della mia esistenza e nulla ho rimpianto, nulla ho rinnegato, perché tutto appartiene alla vita. Qui, dove ora vivo, non ci sono nomine o carriere, non ci sono ambizioni da soddisfare. Non c’è un passato, non c’è un futuro: tutto è presente.

mercoledì 28 agosto 2013

"Il tempo di un respiro" di Lucia Romani (2)

Ho già presentato qualche tempo fa  Il tempo di un respiro di Lucia Romani.  Dicevo in quella circostanza che  il libro merita di essere conosciuto e perciò mi riservo di pubblicarne qualche brano, di tanto in tanto e con il permesso dell’autrice. Pubblico oggi l’email che la sorella  Cecilia indirizzò a Lucia in occasione della pubblicazione del libro.


La sorella Cecilia a Lucia
Ho cominciato a leggere il tuo lavoro appena me lo hai mandato, ma questa è roba pesante: va digerita e metabolizzata. Che scrivi bene lo so, ma stavolta hai intinto la penna nell'anima, hai pizzicato le corde dell'arpa che avevo nascosto nel cuore e l'hai fatta vibrare col tocco magico dell'amore. Un suono carico di dolore, intriso del pianto della memoria, pieno di affanno, di sgomento, di speranze deluse...Mi hai fatto piangere tutte le lacrime del mondo ma non per commozione. Ho capito che piangevo di rabbia. Per lei, per me, per te.

Per un attimo ho vissuto la tua incredulità, la tua impotenza, la tua ostinazione nel non volerla lasciar andare a nessun costo. E poi la solitudine per il binomio spezzato. L'anima pesta, il cuore in frantumi nell'accompagnarla per mano al confine della vita, nel doverle lasciare la mano per non poter entrare nel suo mondo e non poterla trattenere nel tuo. Ho dovuto leggere in più riprese, un pezzetto alla volta: come una preghiera. Ho riscoperto il mio dolore attraverso il torrente del tuo che mi ha investita. Inaspettato e travolgente lo ha ripulito delle sovrastrutture, delle protezioni sotto cui l'avevo sepolto per non soffrire e lo ha messo a nudo. Ho sentito che è ancora là, intatto, crudo e vivo come allora. Una ferita aperta e dolorante. Sei volata leggera sulla sua vita, sulla sua malattia e sulla sua morte come una farfalla curiosa, che si posa qua e là sui suoi giorni più belli e più tristi. Delicata come una farfalla e anche fragile come una farfalla, quando invece sembravi una roccia, fortissima e inattaccabile. Vorrei saperti consolare perché so che soffri ancora e ancora soffrirai ma non so da che parte cominciare. Ti dico però che ti sono vicina e ti voglio bene. Promettiamoci di non lasciarci le mani neppure noi se non sul confine della vita. Sono felice di avere una sorella come te.

Presto il premio Bancarella (quello Strega l'hai già vinto!).

Bacio. Ce'
Email del 20 Giugno 2011


mercoledì 21 agosto 2013

Le voci del silenzio: Amedeo Grisi


Nel mio salone in piazza Oberdan ho rasato a zero generazioni di bambini, perché c’erano dei rischi a portare i capelli lunghi e  poi la testa a meloncino consentiva di diluire nel tempo la  successiva rasatura. Ho anche sbarbato generazioni di contadini, che mi pagavano “a raccolta”, come si diceva: mi pagavano cioè con i prodotti dei loro campi e talvolta non mi pagavano per niente, perché i campi non producevano niente. Si viveva di poco e io vivevo di poco allora. Ma non ero contento: la vita  che fluiva monotona, stagione dopo stagione, non era per me. Ho sognato, ho suonato la chitarra  ed  ho giocato a carte, a bocce, al totocalcio: ho scommesso, cercando di riannodare in tal modo l’anello che non tiene e che talvolta rende amara l’esistenza.
Una volta, ricordo, giocai a bocce anche con te, giovane studente pretensioso. Vinsi facilmente  ed evitai di infierire, di spillarti altri soldi, perché tu eri destinato a perdere, perché tu ti limitavi a conoscere la vita attraverso i libri, mentre io leggevo direttamente nel libro della vita. Ho giocato ed ho scommesso, certo, talvolta vincendo e talvolta perdendo, come sempre avviene. Non sapevo allora che la mia scommessa più grande io l’avrei vinta dopo la vita.